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Aggiornato: 26 maggio 2025
crederanno di udire la voce del colonnello De-Cristoforis morto sulle alture di Dogali, e imitando il suo eroismo le presenteranno. Sono passati quattordici mesi dalla caduta. Mi sono alzato, ho zoppicato, sono stato due volte nell'estate ad Abano.
E' una di quelle gigantesche aquile di ferro e tela tante volte contemplate ad Abano quando si slanciavano in alto, portando uomini imbottiti di penne che poi lasciavano cadere degli sterchi neri scoppianti.
Quei fuochi, quei piccoli fuochi, diversi da ogni altro fuoco! Pagiolin li riconosce. Sono le lanterne cieche dei carabinieri che vegliano al controllo di Abano. Secondo controllo. Altre lanterne cieche con piccoli annaffiatoi di luce gialla. Finalmente il Comando Supremo. L'immensa casa è illuminatissima. Trecento occhi di bragia. L'officina centrale della guerra lavora.
Sapevano certo di essere lontani dalla bella colombaia di Abano con le sue ampie scodelle piene di miglio e granoturco e i cestini per le covate, elegantemente sospesi e bene spaziati. Questa è una terra diversa, rude e selvaggia e rimbombante di fragori più forti che le tempeste del cielo. Alzarono tutti e quattro il becco guardandoci con gli occhietti umani cerchiati di rosa. Raby, sono pronti!
Pagiolin accelerando convulsivamente il battito delle sue ali si slancia e sfiora con ghirlande di volo la grande aquila nera, che ora barcolla, mostruosamente fra gli spintoni e le zampate dei venti. Ha le due ali lacerate tutte a brandelli fumosi, come la baracca incendiata che bruciò tutta la notte vicino alla colombaia di Abano.
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