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Tal esser può, restando pur nel mondo E in convenevol, fulgida eleganza, Chi nutre del Vangel senno profondo, Chi gode esser di Dio fatto a sembianza, Chi sa che spirto uman d'opre fecondo Non dee in van'ombre usar la sua possanza, Ma in amar Dio! ma in dimostrargli amore, Sempre sacrando all'altrui bene il core! Qui susceperit unum parvulum talem in nomine meo, me suscipit.
Ma sien grazie al Signor che, ne' profondi Delirii miei, pur non sorrisi io mai Agl'inimici suoi più furibondi: Sempre attraverso tutte nebbie, i rai Del Vangel mi venian racconsolando; Sempre la Croce occultamente amai.
E sendo un giorno alla messa in parrocchia, quando all'altar si volgeva il piovano a spiegare il vangel, Marfisa adocchia che dalla chiesa usciva ogni villano: Perdio! che gracidar vuol la ranocchia dicendo, ella mi secca il diretano; e usciti que' villan sul cimitero, siedeano al sol scherzando sopra al clero. Odi tu dicea l'un cotesto prete a predicar che non si de' rubare?
«Lui troviam tutti! dissi; e mai governo Del mio cor non faranno atee dottrine, Ma fuor del tempio assai dëisti io scerno. E tu forse a costor più t'avvicine, Che non a quei che dall'Uom-Dio portate Estiman del Vangel le discipline». T'inganni, o giovin! Nel Vangel lo sguardo Figgo come ne' cieli, ed in lui sento Tutto il poter di verit
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