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Mancavano due ore a sera. Il sole dell'occidente vestiva di porpora il golfo di Baja che incurvavasi sulla nostra diritta. La barca veleggiando da Pozzuoli al Capo Miseno tracciava la corda dell'arco. La molle aura, le tinte calde e vaporose dell'autunno, il mare oleoso, la calma della natura, la presenza augusta di ventidue secoli di storia che pareano figure solenni assise sui gradini dell'immenso anfiteatro, conciliavano al silenzio e alla contemplazione a cui non s'è mai così disposti quanto dopo la tumultuosa vita degli accampamenti, la tensione morale delle rivoluzioni, le sensazioni irritanti dei pericoli, e le logoranti fatiche di una lunga campagna. Nell'incanto di quella scena, nel cumulo di tante memorie, nello spettacolo di tante rovine, vidi Annibale minacciar Miseno; assistetti ai funerali di Scipione, schivo della patria ingrata, a Literno; all'agonia di Silla in Pozzuoli; di Tiberio alla Dragonara; e di Porzia in Nisida; udii il tragico ventrem feri di Agrippina all'imperatore matricida ripercotersi d'eco in eco sul lago Lucrino; penetrai nelle logge principesche della villa di Cicerone mentr'egli componeva Le questioni accademiche; seguitai con ansia Bruto che studiava un rifugio nei giardini di Lucullo; salii sul cassero della nave capitana di Sesto Pompeo nel quarto d'ora in che i Triumviri a cena spartivansi il mondo romano; visitai la flotta d'Augusto all'

Matricida! Gi

Le navi entrano, ma sono cariche di sabbia d'Egitto, da cospargere il teatro, dove gladiatori e lottatori hanno da presentarsi alla folla. Egli infuria nelle sale del suo palazzo. Nessuno osa avvicinarlo, tanto è adirato. La folla infuria essa pure. La delusione è stata troppo grande. Inveiscono contro di lui, e le loro imprecazioni arrivano al suo orecchio e lo fanno fremere: Matricida!

Dunque, o profani, avete inteso bene anche questa volta? I poeti greci sono grandi, ma sono anche remoti; e per intenderli occorre l'aiuto dell'ermeneuta. Eccolo, l'ermeneuta. Mentre voi, dinanzi a quella portentosa fantasia tragica, raccapricciate, mirando le mani insanguinate del matricida, l'ermeneuta viene, barbone e occhiali, e vi susurra misterioso all'orecchio: Attento bene, o profano!