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Questo dell'Ore che fuggir il grido tra il doloroso e il lieto, a cui tra il lieto risposi e il doloroso: O mie fedeli, o del mio viver sacre e benedette sorelle, il ricordar dite che giova? voi ben sapete come voli il tempo e in picciol spazio irrigidisca il labbro delle parlanti cose. In aria un segno di voi, di me non rester

Ella ha sete e vorrìa l'assenzio e il miele, La manna e il tòssico, E sente in seno l'onda d'una brama Che or soave diventa ed or crudele. Ella giunge le mani e attende e chiama, Tra speme e tedio, Il presentito compimento ignoto E la gioia fatal che ha sol chi ama. Chi ama e vive e più non sente il vuoto Dell'ore rapide, E la pace che fa invocar la guerra, E l'avvenir che ognora è più remoto.

A tale scellerato accordo Alberada abbrividìsce e lo stesso Boemondo si sente ardere di sdegno. Questo giovanetto si era trovato così fra le braccia di sua madre senza aspettarselo, senza esservi preparato di alcuna maniera. Fanciullo di appena tre anni, una mattina, nel più bel mezzo di lieto banchetto, aveva sentito avventarsela al collo per coprirlo di baci, poscia non l'aveva più veduta, e gli avevano anche inibito parlar di lei. Ma quei baci, quell'aspetto in cui qualche cosa d'inusitato favellava, non gli si era tolto più dalla mente. Anzi, a misura che cresceva negli anni e di quella scena si rammentava, ovvero alcun pietoso gli raccontava dei torti di suo padre e delle sventure della madre sua, quei baci sentiva ancora più affettuosi e disperati penetrargli fino al cuore, di quell'aspetto s'inebriava. In guisa che bastarono appena le prime carezze, le prime parole di Alberada per tutto tornargli alla mente, per vedere incarnata la visione di tante notti, ed i pensieri dell'ore meste in che l'obbligavano di fare la guardia al campo. Si precipitò fra le braccia di quella donna con ebriet