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Così il lungo digiuno e la fatica D'una ad un'altra visïon trabalza Il pensier de l'Eroe, quando, in lui fiso, Il Signor dei celesti: Ora è stagione, Disse in cor suo, che il mio rival conquida! Gli aurei letti lasciò, senz'altro aiuto Che il veloce desio; s'avvolse un manto Ampio, turchino come ciel d'autunno; A la fredda canizie un vasto impose Tricuspide lucente, e, sotto al braccio Un aureo accomodando orbe stellato, Simbol de l'universo, al più vicino Dei presèpi del ciel cheto avvïossi. Ivi, poichè di Giosuè la verga Del sole il cocchio a mezzo il ciel sostenne, E impietriti restâr di sotto al giogo I fulminei cavalli, una falange D'umili sì ma intelligenti on
Non sará vento mai che ti divida, stanne sicuro, dal governo loro, che la sua luce altéra nol conquida. Quel di Vinegia sommo concistoro muove sotto costei lo gran stendardo e pose in man de l'Orso il leon d'oro: Orso non men di senso che di guardo, pronto a le imprese, liberal e schietto, veloce al perdonar, a l'onte tardo.
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