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Gli ultimi giorni dei deputati e dei giornalisti al Cellulare. Turati, De Andreis, Romussi, Federici e Valera si sono riveduti, dopo tante noie, con dei baci, degli abbracci e delle strette di mano, nel cellone esagonale B, numero 2, del secondo raggio.

Passavano da un abbraccio all'altro commossi della commozione altrui. Toccava ai condannati far coraggio ai visitatori! Il Turati risaliva qualche volta sfatto. È un supplizio. A momenti, mi facevano piangere! Romussi, più di una volta, entrava nel cellone colle lagrime negli occhi. Federici rientrava e si metteva a passeggiare colle mani imbracciate.

De Andreis, il quale si sentiva male per il lungo digiuno, domandò subito da mangiare. Gli altri lo imitarono. Impolverati, sudati, passati traverso un'ora piena di pericoli, avevamo una sete da cani trafelati. L'Astengo, il direttore, ci fece portare dell'acqua con del fernet dal bettoliniere. Ci si separò in tante celle e ci si riunì in un cellone a mangiare.

Tre o quattro giorni prima che andasse alla reclusione, il direttore, impressionato dal suo tormento, gli fece imbiancare il cellone e passare alle fiamme il letto di ferro. Ne ho trovate, ci diceva lo scopino incaricato di farli morire col fuoco, a nidiate. Morivano mandando un'odore pestilenziale che mi dava le vertigini.

Ritornavano in cella a lavorare per un paio d'ore e poi, alle undici, ciascheduno usciva con la sedia, col tovagliolo, con la forchetta e col cucchiaio di legno e andava a far colazione nel cellone turatiano. La loro colazione alla forchetta era modestissima.