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Aggiornato: 24 maggio 2025
Saltò fuori dal letto, cercò nel buio i calzoni, se l'infilò e fattosi alla finestra, ne aprì l'impannata, mise la testa fuori, e domandò: Chi è? Io. Masi! Eccellenza, sì. A st'ora.... e con i cavalli.... e mio fratello!... Mi faccia aprire. Cosa è successo, bont
Ehi, rispose il capofila, il quale tenendo il ricattato per una mano se lo tirava dietro. A st'ora? A st'ora. Entrarono nella torre. Quella del pian terreno era una larga stanzaccia affumicata, col solito focolare nel mezzo qualche furrizzo, un lettaccio, una tavola, un fucile a una canna appeso a un chiodo, un vecchio armadio a muro.
A st'ora non s'apre a nessuno: andate per i fatti vostri. Son io, compare Sciaverio: mastro Pasquale. E questo nome s'udì chiaro, come se chi era dietro la porta l'avesse gridato con la bocca sul buco della serratura. Era proprio il roccellese, avvolto nel suo straccio di cappotto, fradicio mezzo, e inzaccherato come un cane.
Salutiamo, rispose il campiere, con una cera maravigliata e sbuffando com'era il suo solito: poi ficcò i suoi occhietti in volto a' due giovani. Che diavolo andate facendo a st'ora e con sto tempo da cani!... C'è cosa?... Niente, rispose mastro Pasquale. Niente, ripetè mastro Santo.
Vi venga la peste! esclamò l'altro a bassa voce, rimettendosi: si sveglia così la gente! non so che mi è parso.... Che cosa c'è dunque.... Picchiano. Tom.... tom.... Sentite? continuò mastro Vanni. Chi può essere a st'ora e con sto tempo?... Tom..... tom.... Che sia successa qualche diavoleria, e.... Sst, fece Sciaverio; poi con voce minacciosa gridò: Chi è? Io.... aprite.
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