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Aggiornato: 11 maggio 2025
Io dico te, Iesú, lo qual invoco mio Febo, mio Elicona, mio Parnasso, ov'ogni bel pensier al fin collòco. So ben che di te dir via piú t'abbasso, che tacendo non alzo; e pur m'offersi, ecco, a dricciar nel tuo bel nome il passo. Ché, come vedi, son questi miei versi d'amor almanco e caritade in cima, se non toscani, ben sonori e tersi. Coecum quid et miserum hominibus vita.
S'io mi diparto a l'umile Betania per alto mar da Roma o sia da Napoli, ecco a man manca dal Parnasso Urania scopremi l'Elicona, ove mi attrapoli. Ben sa che a lei m'avvento, benché 'l Tevere lasciassi per Giordan, quell'acque a bevere. Metaphorice. Acque sí dolci! quanto piú bevémone, piú a la tantalea sete si rinfrescano!
29 Per l'avvenir vo' che ciascuna ch'aggia il nome tuo, sia di sublime ingegno, e sia bella, gentil, cortese e saggia, e di vera onestade arrivi al segno: onde materia agli scrittori caggia di celebrare il nome inclito e degno; tal che Parnasso, Pindo ed Elicone sempre Issabella, Issabella risuone.
9 Di questi l'uno, oltre che 'l proprio istinto ad onorarvi e a riverirvi inchina, e far Parnasso risonare e Cinto di vostra laude, e porla al ciel vicina; l'amor, la fede, il saldo e non mai vinto per minacciar di strazi e di ruina, animo ch'Issabella gli ha dimostro, lo fa, assai più che di se stesso, vostro: 10 sì che non è per mai trovarsi stanco di farvi onor nei suoi vivaci carmi: e s'altri vi d
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