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Aggiornato: 6 maggio 2025


Il primo come il leone della favola reclamava le prede e accettava gli utili fatti compiuti colla scusa del proverbio fiorentino, che cosa fatta capo ha; riveriva come tutore e patrono Napoleone III che ingannava e tradiva gli Italiani al pari dei Polacchi, e d'accordo coi neo-guelfi aveva colla cruenta convenzione del 15 settembre 1864 implicitamente rinunciato alla nostra capitale.

Sei mesi dopo ch'egli aveva avuta la mia lettera Pio IX dava, coll'enciclica del 19 aprile 1848, una solenne smentita alle adorazioni dei neo-guelfi e ai sogni dei moderati. Se non che ad anime siffatte tornava facile ogni cosa fuorchè il rinsavire. I neo-guelfi si tramutarono in ghibellini; i moderati, che avevano dissertato a provare la sola via di salvar l'Italia esser nel congiungimento del pastorale colla spada, dissertarono a provare che la spada d'Italia bastava. Nel marzo intanto quella spada, che potea salvare davvero l'Italia, era stata snudata dal popolo nel Lombardo-Veneto e poco prima in Sicilia. E il primo suo lampeggiare in Sicilia aveva convertito i principi agli ordini costituzionali e ottenuto in un subito più assai che non avevano ottenuto le tattiche adulatrici di tutto un anno: il secondo in Milano aveva sgominato un esercito creduto fin allora invincibile e affrancato quasi dal nemico straniero il suolo d'Italia. La vera forza era dunque visibilmente nel popolo. Bastava intenderlo: bastava dire al popolo: prosegui, l'impresa è tua ai principi: alleati tutti, padroni nessuno ai principi, al popolo, all'Europa: vogliamo essere uniti, liberi, forti: vinta la guerra dell'indipendenza, l'Assemblea nazionale decider

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