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Aggiornato: 5 maggio 2025
Ho detto che nell'Innocente l'influsso dei romanzi russi è passato in seconda linea. Forse dovremmo riconoscerlo un po' nel carattere corrotto e complicato di Tullio Hermil, se la derivazione di esso dall'Andrea Sperelli dello stesso autore non lo giustificasse in qualche modo. L'influsso però è potentissimo nel personaggio di Federico, una specie di Levin tolstoiano. Il D'Annunzio, che abusa delle formole, ne fa un contrapposto al Christus patiens e lo chiama il Cristo della gleba. È infatti un discepolo del Tolstoi, un apostolo di carit
Nell'Innocente, per quanto sia visibile l'intento dell'autore, l'illusione non si produce una sola volta. C'è il fantasma d'un personaggio, non quello d'un personaggio che prova il bisogno di confessarsi, di accusarsi. L'artifizio della narrazione in prima persona, che il D'Annunzio predilige in questi suoi ultimi lavori, non arriva fino a vincere il lettore. In un punto anche la forma gli resiste, non si piega alle necessit
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