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E negli scaffali posso scorgere da qui, in volumi dalle coperte pergamenate, Platone, Hegel, e Guyau, e Fouillée, e Tolstoi, e Dostojewski, e Maeterlink, e Ibsen, e Björnson, e il mio Zola, come lei dice con sottile ironia, e i miei Verga e De Roberto questo lo dico io e ne sono orgoglioso e il suo D'Annunzio che, se me lo permette, è un tantino anche mio, lei lo sa.

Avrebbe potuto meglio rispondermi: Morta una forma d'arte, ne vien fuori subito un'altra; non c'è più il poema, ma c'è il romanzo; non c'è più Shakespeare, Molière, Goldoni, ma ci sono l'Ibsen e, meglio, i drammettini del Maeterlink a proposito del quale si è fin parlato di Shakespeare redivivo. Eh, via, amico mio! Mi conceda di ripetere le sue parole.

Lasciamo , per amor di Dio, le stupide denominazioni, di realismo, di psicologismo, di idealismo, di simbolismo: ragioniamo di teatro, di opere d'arte drammatica. E soprattutto non predichiamo bene e non razzoliamo male. Il Maeterlink, il nostro piccolo Shakespeare, come lo chiama il critico del Marzocco (Oh, piccolo, molto piccolo! infinitesimale!) che fa? D

E in questi giorni in cui Ferdinando Brunetière mostra in un discorso mirabile La Renaissance dell'Idéalisme, in questi giorni in cui Melchior de Vogue studia lo spiritualismo di Pasteur e di Claude Bernard, in questi giorni in cui lo Zola, il vostro Zola pubblica Rome, in questi giorni in cui Maeterlink mostra ansioso Le Réveil de l'Ave, ella mi annuncia che l'arte agonizza? Eh via, amico mio!