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Che farò senza Euridice? In quella luce dorata e tepida, in quel profumo così molle, in mezzo a tutti quegli oggetti improntati di grazia femminile, il fantasma della melodia antica pareva svegliare il palpito d'una vita segreta, spandere l'ombra d'un non so che mistero. Com'è bella l'aria che tu cantavi dianzi! io dissi, obbedendo all'impulso che mi veniva dalla inquietudine.

Alcuni portavano lievissime venature violacee, altri pendevano un poco nel giallo, delicatamente. Tieni ella mi disse. Mettili nell'acqua. Era di mattina; era di novembre; era di poco trascorso l'anniversario d'un giorno nefasto che quei fiori rammemoravano. Che farò senza Euridice?... Mi sonò nella memoria l'aria di Orfeo, mentre mettevo in un vaso i crisantemi bianchi.

Canzone, imponi al canto, al pianto freno: Ben so ch’a me non lice La mia cara Euridice D’indi ritorre ove beata splende, Ch’ivi affanno non ha di duol terreno. Ma lieto amor l’accende Che ’n Dio la stringe e con devoto zelo Fa che m’inviti a rimirarla in Cielo.

Un altro giorno palpitai forte, udendola cantare da una stanza lontana. Cantava l'aria di Orfeo: Che farò senza Euridice? Era la prima volta, dopo lungo tempo, che ella cantava così, movendosi per la casa; era la prima volta che io la riudiva, dopo lunghissimo tempo. Perché cantava? Era dunque lieta? A quale affetto del suo animo rispondeva quell'effusione insolita?

Phebo in thessaglia ardente e luminoso Fessi pastor per Daphne e fessi in vano Neptun si fece in un monton lanoso E in un torno iuvenco humile & piano In un cavallo ardito e furioso Mutossi Achille, de sembiante humano Per euridice, Orpheo nel centro scese. E pluto de proserpina se accese