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CAPPIO. Pigliate i capelli d'Altilia che son di miniera, coceteli al foco del vostro core, batteteli col martello, col quale amor vi picchia, in verghe e fatene scudi; o vendete quei rubini, zafiri e perle del suo volto, e cominciate a smaltir cosí gran tesoro. GIACOMINO. Quei capei tutti son lacci per incatenarmi ed appiccarmi.
Iacoviello, figlio mio, io voglio ca te nzuri a gusto toio, pur che essa sia femmena onorata e te dia buona dote. GIACOMINO. Padre, troppo sarebbe cara l'onestá, se l'onestá di tutte le donne fossero come l'onestá d'Altilia mia.
La donna in casa è un certum malum e una verecundia incerta. LIMOFORO. Di grazia, fatemi partecipe di tanta vostra allegrezza. PEDANTE. È venuto il padre d'Altilia mia: ce l'ho restituita e son evaso da un tanto discrimine. ANTIFILO. Dunque, Altilia non è vostra figlia? PEDANTE. D'amor sí bene, ma da me non ingenita. LIMOFORO. E come venne, ditemi di grazia, in poter vostro?
LARDONE. Ma la bocca del forno d'Altilia andrá in rovina. Con questo mi sconterò il mal pagato salario, i digiuni, le vigilie e le quarantine che mi fa far tutto l'anno in casa sua. CAPPIO. Sappi usar bene la tua forfantaria. LARDONE. Non bisogna avisarmelo, che questa fu arte di mia madre, ava e bisavola e di tutto il mio legnaggio.
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