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Aggiornato: 7 maggio 2025


Tu leggi, e un agente del reclusorio ti chiama dabbasso, in direzione, per una cosa che ti si poteva dire con un monosillabo, o anche fra cento anni. Tu leggi, ed entrano i battitori a scomodarti e a rintronarti le orecchie. Tu leggi, e suona la campana della distribuzione della minestra e del pane.

Ci si condusse in un cortilone che gelò il sangue a tutti. Nel mezzo c'erano due montagne: una di catenoni e una di grossi anelli che chiamavano maniglie. A destra di questi ferramenti che sospendevano il respiro, si vedeva una lunga fucina infocata che sparpagliava una pioggia di faville e incendiava superbamente i battitori del ferro rovente. Era una scena terribilmente dantesca. Le incudini erano parecchie. Su alcune precipitavano le mazze che scrostavano il volume del ferro ardente che incominciava ad assumere una forma, su altre irrompevano i magli che massellavano i ferri che avevano gi

Poi disporremo i nostri elefanti domestici e i nostri battitori per imprigionare tutta la mandra nei parchi d'allevamento! Io ho spesso cacciato gli elefanti. Non li temo. Hanno la vista corta e so colpirli nei loro tre punti mortali: cuore, cervello o spina dorsale. con voce cupa. Non abbiamo più cartucce. Non servirebbero a nulla, le cartucce.

Ma pochi istanti appresso, le braccia stanche dei battitori si allentavano, e il coro rientrava, a poco a poco, nella solita nenia semplicemente malinconica. Le faccie tranquille, le mani operose non tradivano alcuna commozione insolita. Che cosa era stato? Nulla. Uno sfavillamento imponderabile del sotterraneo braciere. Uno scatto istintivo del sentimento umano conculcato.

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