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Aggiornato: 9 maggio 2025
Alla qual cosa dee ciascuno senza alcuna difficultá divenire, leggendo quello che ne scrive Platone, uomo di celestiale ingegno, nel fine del prologo del suo Timeo, per sé dicendo: «Nam cum omnibus mos sit et quasi quaedam religio, qui vel de maximis rebus, vel de minimis aliquid acturi sunt, precari divinitatem ad auxilium; quanto nos aequius est, qui universitatis naturae substantiaeque rationem praestaturi sumus, invocare divinam opem, nisi plane quodam saevo furore atque implacabili raptemur amentia?». E, se Platone confessa sé, piú che alcun altro, avere del divino aiuto bisogno, io che debbo di me presumere, conoscendo il mio intelletto tardo, lo 'ngegno piccolo e la memoria labile?
E, impercioché di materia poetica parlar dovemo, poeticamente quello invocherò con Anchise troiano, dicendo que' versi che nel secondo del suo Eneida scrive Virgilio: Iupiter omnipotens, precibus si flecteris ullis, aspice nos: hoc tantum: et, si pietate meremur, da deinde auxilium, pater, ecc.
In omnem terram exivit sonus eorum, et in fines orbis terrae verba eorum». E però, fuggendo la confusione delle tenebre del peccato, si può dire dicesse, come talvolta disse il salmista: «Levavi oculos meos in montes, unde veniet auxilium mihi»; volendo in questo dire che egli levasse gli occhi della mente alle Scritture e alla dottrina apostolica, dalla quale sperava dovere avere aiuto al suo bisogno.
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