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Ha lasciato il suo reggimento di fanteria per il comando di un reparto d'assalto. Fra le gomitate, gli urli dei suoi fez neri, mi racconta: A Meolo, c'era da ridere. Una battaglia di clown e buffi napoletani. Vero bordello pieno di risse di avvinazzati. Ma quanto sangue e quanti morti! Però tutto era allegro. Non ho mai visto tanta confusione.

Da una parte si attribuiva al presidente una incalcolabile potenza morale, dall'altra il suo potere veniva sospettosamente circondato da limiti legali, che per un uomo onesto erano superflui, per un uomo senza coscienza erano vani. Il presidente era il capo supremo dell'esercito, nominava tutti gli ufficiali, ma gli era inibito di vestire l'uniforme e di comandare personalmente il minimo reparto di truppa: il che era un'offesa grossolana a tutte le consuetudini e alle idee tradizionali dell'esercito francese. Gli era assegnato un appannaggio, troppo alto per la virtù di un repubblicano, ma miseramente gretto per le pretese, che la Francia era abituata da secoli a esigere dal capo dello stato: il povero diavolo, che invidiava ai deputati la loro paga giornaliera, rimpiangeva malvolentieri i tempi dei re. Il presidente aveva la facolt

Giunge un motociclista grondante, infangatissimo. Riconosco un amico, tenente di collegamento. Viene dal Grappa. Mi racconta la mischia vittoriosa, accanitissima in una nebbia fitta. Dice che il comandante del reparto d'assalto, maggiore Messe, ha fatto cose fantastiche.