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Dice, oltre a ciò, questa selva essere «selvaggia», come del tutto strana da ogni abitazione umana: percioché nella prigion del diavolo, nella quale noi medesimi peccando ci mettiamo, non è alcuna umanitá, pietá, clemenzia, anzi è piena di crudelitá, di bestialitá e di iniquitá.

E fa in questo l'autore debita comparazione: percioché, quantunque, peccando mortalmente, nella infernal morte si caggia, nondimeno è questa morte in tanto simile al sonno, in quanto l'uomo si può da essa destare mentre nella presente vita dimora, come nel principio del seguente canto mostra l'autore d'essere stato desto, ma da grave tuono; la gravitá del qual tuono possiam dire essere stata alcuna di quelle cose, con le quali davanti nel principio del primo canto del presente libro dicemmo che Domeneddio toccava i peccatori con la grazia operante, quando in alcuno la mandava.

E se l'artista aveva adoperato i sottili espedienti della poesia per sedurre quella donna, se aveva nobilitato con la magia dell'espressione letteraria il suo scontento e le sue brame, la contessa d'Arda, destatasi dal sogno d'un affetto fraterno, trovandosi inevitabilmente al formidabile bivio di vivere peccando o di morire per evitare la colpa, aveva potuto apprendersi al più disperato, ma meno indegno proposito.

«La massima tristezza è di dover rinunziare alla speranza. «L'estrema speranza..... «..... Al bivio formidabile: di vivere peccando o di.....» Queste erano le ultime parole. La frase non doveva logicamente compiersi così: «o di morire per evitare la colpa?....»