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Aggiornato: 8 maggio 2025


Con pronuncia ostrogota tentò costui di giustificarsi, ma io l'interruppi con queste parole: Sul monte di Villa San Giovanni, signor comandante, vi cantai più volte alta la testa quando la piegavate col moto della civetta al fischio delle palle. Mi rubaste il cavallo per vendicarvi?

Ora nel momento in cui Gasparo entrò con l'amico, quei fogli erano tutti accaparrati da un gruppo di persone, tra cui primeggiava il marchese Ernesto Geisenburg-Rudingen von Rudingen, quello stesso che avrebbe voluto dare una buona lezione al Rialdi se non fosse stata la paura d'insudiciarsi le mani. Il signor marchese leggeva ad alta voce con la sua pronunzia ostrogota, fermandosi a ogni due parole per pigliar fiato e per interpolare qualche sua riflessione in italiano o in tedesco, un articolo del Giornale di Napoli, contenente un giudizio sommario sull'impresa di Calabria. Impresa incredibile al racconto, di superlativa stoltezza, di crassa ignoranza, la chiamava il dotto articolista, e l'illustre signor marchese stava appunto deliziandosi in queste frasi concise, vibrate, degne di Tacito. Egli vide con la coda dell'occhio Gasparo Rialdi, ma finse di non accorgersene e tirò innanzi nelle sue osservazioni, mettendoci forse una maggiore acrimonia. Anch'egli opinava, come la suocera, che Gasparo fosse un po' carbonaro, e non gli dispiaceva di slanciargli indirettamente qualche frecciata, tanto più che l'ufficialetto gli era antipatico per cento altre ragioni. La condotta del signor marchese non era punto generosa, giacchè egli doveva sapere che nel campo politico il Rialdi non aveva libert

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