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Come ebbero preso congedo dai rappresentanti avversarii, il duca di Majoli e Vittorio Giussi scesero al caffè, in quell'ora popolatissimo. Si guardarono attorno, a lungo, attentamente; Andrea Ludovisi non c'era. Cerchiamo dalla parte della musica, disse il Giussi. Dopo pochi passi, sotto la viva riverberazione dei fanali elettrici, esclamò: Eccolo .

Una sola, fra le persone che frequentavano Villa Valdonica, si sottraeva a quella specie di posa obbligatoria per gli altri: il duca di Majoli. Giovane, colto, elegante, un dramma domestico lo aveva precocemente maturato. L'espressione abituale della sua fisonomia era una grande seriet

Ma il sangue gli bolliva nel cuore, le sue mani avevano contratto un tremito irrefrenabile, la sua mente si era smarrita, egli rientrò in uno stato di calma relativa se non prima, con un pretesto abilmente colto, ebbe il destro di provocare l'insultatore. Recatosi dal duca di Majoli perchè lo assistesse, ne aveva avuto un rifiuto, amichevole, ma reciso.

Non era lui!... Che cosa avrebbe potuto volere, a quell'ora, il duca di Majoli?... Quantunque fosse una delle pochissime persone che ella vedeva meno malvolentieri dacchè amava Andrea Ludovisi, pure in quel momento quella visita la contrariava; Andrea poteva apparire da un momento all'altro.... Signora baronessa... mi voglia perdonare....

Un'esclamazione del Giussi lo richiamò ad un tratto alla coscienza del presente. Ecco quei signori. Erano il barone De Falco e il giornalista Andritti. Scambiati i saluti, i quattro rappresentanti presero posto intorno a un tavolo, su cui la lampada gettava una viva luce. Il duca di Majoli prese la parola, seccamente. Sarebbe inutile ricordare il motivo che ci riunisce stasera.