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Ma l'Italia? Era essa condannata a seguire, quasi satellite, i fati di Francia? Non poteva un popolo di ventisei milioni, ridesto a coscienza di libera vita dalle giornate di Milano e dalle eroiche difese di Venezia e Roma, raccogliere l'iniziativa tradita altrove? Padrone del proprio suolo e del proprio avvenire nel 1848, quel popolo non era caduto se non perchè aveva ceduto la direzione delle proprie forze e del moto a mani d'inetti e di tristi, a principi e cortigiani. Bisognava insegnargli che non esistono capi per diritto di nascita o di ricchezza: che soli capi legittimi d'una rivoluzione sono gli uomini che hanno più combattuto per essa: che un popolo non deve mai rinunziare al proprio diritto d'iniziativa, confidar ciecamente, allontanarsi dall'arena, dire a stesso: altri far

«Io non credo che la provvidenza abbia mai detto così chiaramente ad una nazione: tu non avrai altro Dio che Dio, altro interprete della sua legge che il popolo. E non credo che sia al mondo una gente più ostinata della nostra a non vedere intendere. La provvidenza ha fatto dei nostri principi una razza d'inetti e di traditori, e noi vogliamo andare innanzi a rigenerarci con essi. La provvidenza, quasi a insegnarci guerra di popolo, ha fatto sconfiggere un re in una impresa gi

Non basta a darne ragione il difetto d'educazione politica, il lungo servaggio, l'influenza addormentatrice d'un pugno di raggiratori o d'inetti che riuscirono a usurparsi i frutti delle opere altrui, e dai quali il paese, se si svegliasse, si libererebbe in tre giorni.