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I due fratelli Talamonte, Cirù, Massacese e Gialluca formavano l’equipaggio, tutti nativi di Pescara. Nazareno era il mozzo. Essendo il plenilunio, indugiarono su ’l ponte. Il mare era sparso di paranze che pescavano. Ogni tanto una coppia di paranze passava a canto al trabaccolo; e i marinai si scambiavano voci, familiarmente. La pesca pareva fortunata.
Poi come le vele si gonfiarono nell’aria tutte colorate in rosso e segnate di figure rudi, i sei uomini si misero a sedere e cominciarono a fumare tranquillamente. Il mozzo prese a cantarellare una canzone della patria, a cavalcioni su la prua. Disse Talamonte maggiore, gittando un lungo sprazzo di saliva su l’acqua e rimettendosi in bocca la pipa gloriosa:
I due Talamonte vennero con un vaso di terra pieno di catrame fumante. Gialluca s’inginocchiò, per rinnovare il voto al santo. Tutti si fecero il segno della croce.
Gialluca, benchè prostrato di forze e d’animo, si rizzò su la branda, immaginando che la barca andasse a picco; e s’aggrappò disperatamente a uno dei Talamonte. Supplicava, come una femmina:
Come il cielo era coperto di vapori e il mare appariva cupo e stormi di gabbiani si precipitavano verso la costa gridando, una specie di terrore scese nell’animo di lui. Alla fine Talamonte minore sentenziò:
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