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Aggiornato: 30 aprile 2025
Il popol forte, Da l'armi oppresso e da la fame infranto, Schiude al superbo vincitor le porte, Che a quest'orrido aspira ultimo vanto. Egli entra, ei passa: è suo trofeo la morte, Suo cibo il sangue, sua letizia il pianto; Piega il ginocchio, e, crudelmente pio, Chiama a le stragi sue complice Iddio.
Son io, proprio io. Io sono deciso e tu mi salverai, Bambina. Io non so troppo ancora ciò che farò. Io mi aggiro come un cieco in mezzo di quest'orrido mondo, mi smarrisco. Io non conosco ancora la via dell'infamia dorata, vado a tastoni, scandaglio... Ma, sii tranquilla; finirò per orientarmi. Solo, non posso nulla. Poi, un uomo che cade, cade per sempre; la sua perdita è irreparabile; il tempo lo sprofonda sempre più, nulla nè alcuno non lo rilevano. La macchia dell'uomo è incancellabile: la porpora di re o di cardinale, i ciondoli di diamanti, la mozzetta di papa, la livrea di ministro, l'uniforme di generale... nulla vale! l'infame resta infame. Se i contemporanei taccionsi, la posterit
Quando Annetta entrò, le fece diverse interrogazioni sull'arrivo delle forastiere, e trovò avere colei più premura di rispondere, ch'essa d'interrogare. «Son venute da Venezia,» disse la cameriera, «con due signori, ed io fui contentissima di vedere qualche altra faccia cristiana in quest'orrido soggiorno. Ma che pretendono esse venendo qui?
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