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Tutto qui è vero: non è il poeta che parla, è un trasteverino che vide e fece: per ciò l'epos nasce naturale e non per convenzione, nella forma dialettale. Il trasteverino è uno egli stesso, ripeto, dei settanta; ha quindi un animo quale ci bisognava alla gran gesta; ha la osservazione profonda e sicura, per quanto commossa, delle cose e degli uomini; ha il cuore risoluto e pietoso: senza descrizioni, senza divagazioni, senza fantasticherie (ché non c'era tempo) ma tenendo conto di tutti i particolari (ché a tutto si doveva badare per vincere o per morire bene, un gruppo com'erano), egli racconta; e nella lontananza di diciotto anni l'ardore rimeditato e risentito dell'animosa sua gioventù gl'illumina del bagliore d'una fantasia severa il racconto; e in quel racconto, nel cospetto di Roma, fra il Tevere e l'Aniene, in quella campagna, con quei nomi, a quella stagione, dalle concitazioni del duro e muscoloso linguaggio la linea epica si solleva e si distende per i venticinque sonetti monumentale. Non mai poesia di dialetto italiano era salita a quest'altezza. Grandissima l'arte e la potenza del Porta e del Belli, ma in una poesia che nega, deride, distrugge: classica quanto si vuole l'arte del Meli, ma fuor della vita, in una Arcadia superiore. Scolpire la idealit
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