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Aggiornato: 1 giugno 2025
Fu, pertanto, fra queste mura, ed in principio del 1344, che Cola di Rienzo tenne discorso a Clemente VI. Il momento era splendido, adatto ad un Demostene, o ad un Cicerone; il giovane oratore aveva posto tutto il suo impegno per arrivare a commuovere il Papa e quella nobile assemblea, acquistando contemporaneamente a sè fama non peritura. Fece una pittura vivace della miseria in cui era caduta Roma, e descrisse in particolar modo i soprusi, e la prepotenza dei baroni. Questa fu la causa della sua rovina. I Colonna, fra i quali il cardinale Giovanni ch'era presente, posero il Papa in guardia contro l'ardito demagogo, e Cola rimase un certo tempo in Avignone in povero stato, oggetto di scherno da parte dei cardinali e dei grandi. Allora Clemente VI si trovò costretto a rimandarlo a Roma, nella qualit
Il vaticanismo rimaneva con un esercito senza generali, con molti combattenti senza eroi. Non pertanto resisteva superbo. Tutta l'energia degli assalti si fiaccava contro la sua inerzia. Lammenais stesso, impetuoso come Demostene, ampio come Cicerone, vi urtò ribellandosi, e fu vinto. La sua collera non bastò a scuotere il colosso.
Quel giorno ed altri parecchi, il trionfo oratorio di Ariberti e la vittoria del ministero furono il tema di tutti i discorsi. Nel salotto della marchesa Clementina si andava a gara per inchinare il Demostene, il Marco Tullio redivivo.
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