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Si abbracciarono di nuovo. Senza dir motto, Roberto avea trovato modo d'assicurare con quell'abbraccio il Cardella della sua discrezione. Il soprintendente uscì. Roberto si gettò sul suo lettuccio, soffocando il pianto nel rozzo origliere, che gli forniva l'amministrazione dell'ergastolo. Di a un'ora, Roberto si sovvenne che l'altro prigioniero lo aspettava.

Filippo Cardella, il soprintendente, antico marinaro, siccome abbiam detto, discorreva volentieri con Roberto, sulla professione da lui un tempo esercitata, su le peripezie sofferte, su le avventure, sui paesi veduti.

Il Cardella lo ascoltava commosso, e, battendosi la fronte, esclamava, come avea fatto in altre congiunture: Non so spiegarmi in che modo voi vi troviate qui.... e per un grave delitto.... Debbo confessarvelo?... Invece di temervi, vi rispetto: invece di disprezzarvi, o compatirvi, sento che voi siete uomo di virtù molto superiori alle mie, e di pochi, che passano per onesti nel mondo, mi fiderei come di voi, che siete qui con nome d'assassino.

Mi auguro, essa gli rispose, che mio marito sia sempre lasciato qui, affinchè possiamo continuare ad esservi utili! Fra i terrori provati da Roberto nel corso di vari anni, e che aveano scosso la sua fibra, uno dei più pungenti era stato quello che il Cardella fosse traslocato, e venisse un altro soprintendente, che gli toglierebbe i piccoli privilegi di cui godeva.

Soprintendente del carcere era un uomo ruvido e buono: Filippo Cardella, nato a Ischia. Egli era stato marinaro come Roberto: ma a causa d'una ferita assai grave, riportata alla gamba destra, in una manovra durante una burrasca, avea dovuto lasciar il servizio.