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Orbene: se vi leggessi non le venti righe apparentemente oscene, con le quali si domanda la condanna di Marinetti, ma le duecento, trecento e più pagine con cui si può, si deve assolutamente domandare l'assoluzione, voi sentireste come questo piacere della complicazione, dell'insistenza, questo piacere, come lo aveva un altro, Alfonso Daudet, che guardava tutto da vicino, come lo ha un altro, Giovanni Pascoli, che sente il giardino, il fiorellino, il canterino, il rosmarino, il frin-frino, finchè si fa cogliere dal Guerin Meschino... ebbene: se vi dicessi tutto questo, voi sentireste che non è la compiacenza isolata, non è il vizio, non è il desiderio di complicare l'immagine lussuriosa proprio quando si capita all'immagine lussuriosa, ma è l'evidenza pittorica, è la complicazione dello spirito, è il delirio ispirato, è la sua natura d'artista.

Tutto sta nel modo e nella misura. Per parecchi secoli, l'arte drammatica si è servita del tipo: poi, per logica evoluzione, ha messo fuori l'individuo: prima, per esempio, con caratteristiche generali, l'avaro, il geloso; poi, un tal geloso, un tal avaro, Otello, il notaio Guerin.

Preghiere vane: meglio dello zio vescovo, il babbo Guerin; meglio che Antonia era Maria; meglio che il cattolicismo, il calvinismo, e che Acquapendente, Ginevra; e per Gregorio Leti era cominciata una vita nuova di fede sincera, d’affetti domestici, di operosit