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Aggiornato: 25 maggio 2025
In ricompensa di questi servigi il barone gli regalava di tanto in tanto sotto forma di gratificazione un pezzo di venti lire in oro col patto che non dicesse nulla a Ersilia, che avrebbe voluto tenere il vecchietto goloso e dissipatello più a stecchetto; ma anche questa piccola frode rendeva il regaluccio più saporito tanto a chi dava quanto a chi riceveva. Il pezzo d'oro barattato secondo il corso del cambio fruttava un altro piccolo guadagno, che aggiungeva al piacere del dono il gusto più squisito della speculazione. I cinquanta, i sessanta, i sessantacinque centesimi che a seconda dell'aggio il vecchietto guadagnava, gli erano quasi più gustosi che non le venti lire del suo pezzo d'oro: e non minore era la sua felicit
E qui prego chi legge a compatire se, per maggior chiarezza, ripeto nuovamente li medesimi abusi, amplificando questi effetti dell'aggio e dell'alzamento.
«Aggio» vuol dire in lingua toscana «commoditá o vantaggio, che si ha d'altra cosa», del che viene «aggiato» e «star a suo aggio», che vuol dire «star a suo commodo». E di qui hanno tolto i mercanti il nome di «aggio»; e la frase di «pagar aggio» è quel tanto di piú, che nel barattar moneta lascia uno all'altro, come prezzo di comoditá o dell'aggio che risulta a chi lo paga dall'aver quella specie di monete.
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