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Qui, insieme con Aminta, risero di cuore tutti i presenti. Gino, rasserenato, mandò uno sguardo a Fiordispina, che andava e veniva per la stanza, anch'ella sorridente e felice. Divino sorriso! Come s'illuminava per lui, quel sorriso, di tutte le liete notizie che gli aveva date Don Pietro!

Ad ognuna di quelle domande aveva risposto con bella progressione di calore un del suo compagno di viaggio. Bene; ripigliò il conte Gino; tu puoi rendermi un servizio maraviglioso. Non mi hanno permesso di fare neanche un saluto, temendo forse che il saluto nascondesse Dio sa che cosa!

Gino fu accolto con gran festa alle Vaie. Come aveva trovato il soggiorno di Querciola? Brutto, naturalmente; ma tanto meglio per i Guerri, che avrebbero avuto la fortuna di vedere il loro ospite più spesso. Si capisce che tornò in campo la proposta gi

Dopo quel primo incontro con lei, Gino Malatesti era stato distratto da altri pensieri, aveva avuto le sue piccole avventure, i suoi ripeschi, i suoi capricci, tutti decorati di quel gran nome che sapete, e mutati ad ogni tanto, come si mutano le figure in un caleidoscopio, ad ogni voltata del cannocchiale.

Capisco; disse Gino. Se non incontravo ieri la provvidenza dei Guerri, povero a me! finivo male, con questa bella alternativa. E rimontò a cavallo e si avviò per la discesa, col suo gentilissimo ospite, a cui propose subito di lasciare da banda le cerimonie, passando dal noiosissimo lei al grato e italianissimo tu. Del resto, non era egli stato accolto come figlio, nella casa dei Guerri?

Il signor Francesco, alzato anch'egli per tempo, diede il buon viaggio al suo ospite. Ed anche il felice ritorno, come potrete immaginare, poichè queste cose si dicono sempre. Le signore non si erano presentate nel salotto, ma il conte Gino, come fu in sella, ebbe il piacere di vederle apparire sopra un terrazzo scoperto, a fianco della casa, e di mandar loro un rispettoso saluto.

L'ho aperta, ed è la lettera del più sciocco, del più noioso tra gli uomini. Ebbene? disse Aminta. Leggila egualmente. C è sempre qualche cosa da imparare, anche nella lettera d'uno sciocco. Leggerò, sicuramente, leggerò; rispose Gino, rifacendosi dalla firma al «CarissimoLa lettera, come sappiamo dal bollo postale, veniva da Lucca.

La bella figlia dei monti arrossì un pochettino, ma non istette a farsi pregare, come fanno le dilettanti della pianura; non si scusò neanche con la solita ragione del non ricordare che musica vecchia, ben sapendo che la vecchia è molto spesso la buona, e andò di buon grado a sedersi davanti al suo Erard, di cui il conte Gino sollevò prontamente il coperchio.

Cinque minuti! interruppe ella. E poi? E poi dalla Pallavicino, dalla Borsi, dalla Frassinori. Che dice la divina Giulia? domandò la contessa. È sempre nemica della musica del nostro Verdi? Ah, non so.... non ne ha parlato. Di che parlava, dunque? Ella non ha quasi altro tema. Non saprei dirti; replicò Gino, confuso. Si parlò di cose da nulla....

Frattanto, nel voltarsi a guardare intorno, ebbe un altro argomento di maraviglia; un pianoforte, niente di meno, un pianoforte a coda, ed anche della fabbrica di Erard, se non vi dispiace di saperlo. Al conte Gino, che si era avvicinato per dare un'occhiata alla scritta, non dispiacque davvero.