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Sans se faire prier, il prit la plume et écrivit les lignes suivantes: «L'innosenza dei costumi, la buona fede, l'obedienza e l'orrore del vizio abitano questa terra fortunata. Egli sembia che la dea Astrea, la quale si dice ritirata nel celo, sia anche costi nacosta fra questi uomini. Essi non anno bisogno di giudici, giacche la loro propria coscienza gle ne tiene luogo.

Fu eletto da' quarantuno elettori, il quale era cavaliere e conte di Val di Marino in Trivigiana, ed era ricco. Si trovava ambasciadore a Roma; e a di 9 settembre, dopo sepolto il suo predecessore, chiamato il gran consiglio, e preso di fare il Doge giusta il solito. E furono fatti i cinque correttori, ser Bernardo Giustiniani, procuratore; ser Paolo Loredano; ser Filippo Aurio; ser Pietro Trivisano, e ser Tommaso Viadro. I quali a misero x°. queste correzioni alla promessione del Doge: che i consiglieri non odano gli oratori et nunzi de' signori, senza i capi de' quaranta, e delle due parti del consiglio de' quaranta, possono rispondere ad alcuno, se non saranno quattro consiglieri e due capi de' quaranta, e che osservino la forma del suo capitolare. E che messer lo Doge si metta nella miglior parte, quando i giudici tra loro non fossero d'accordo. E che egli non possa far vendere i suoi imprestiti, salvo con legitima causa, e con voler di cinque consiglieri, di due capi de' pregati. Item. che in luogo di tre mila pelli di conigli, che debbon dare i Zaratini per regalia al Doge, non trovandosi tante pelli, gli diano ducati ottanta l'anno. E poi a di xi°. detto, misero etiam altre correzioni, che se il Doge, che sar