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Nulla ricordo. Ora potrei nel gorgo sparire: nulla più t’è necessario da me: nel getto pieno e statuario del tuo fiorire il tuo destino io scorgo. Ah, potess’io pensar che da una scorza d’albero, gaia boschereccia ninfa, balzata fossi, e avessi in te la linfa di quel tronco, e la sua virginea forza!...

Quinci addivien ch’Esaù si diparte per seme da Iacòb; e vien Quirino da vil padre, che si rende a Marte. Natura generata il suo cammino simil farebbe sempre a’ generanti, se non vincesse il proveder divino. Or quel che t’era dietro t’è davanti: ma perché sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t’ammanti.

che, ben che da la proda veggia il fondo, in pelago nol vede; e nondimeno èli, ma cela lui l’esser profondo. Lume non è, se non vien dal sereno che non si turba mai; anzi è tenèbra od ombra de la carne o suo veleno. Assai t’è mo aperta la latebra che t’ascondeva la giustizia viva, di che facei question cotanto crebra;

Che voce t’è venuta! Mortella. Forse ho in me una voce che non è la mia. Io stessa non la conosco. E ogni parola in ogni voce cangia di senso, di peso e di destino. Non sai tu che la Guinigia non fu riscattata se non per l’amore d’una voce?

E questo ti prova appunto che io agisco esclusivamente a vantaggio tuo. Continuando, che ci rimetterei, io? Margherita Non lo so; ma il certo è che per tenerti legato a me, io non avrei dovuto.... Fabrizio Margherita No, non avrei dovuto fare... quello che ho fatto. Credi ch’io sia tanto stupida da non capirlo? Fabrizio Tu non capisci niente. Margherita Il capriccio t’è passato. Fabrizio

Presemi allor la mia scorta per mano, e menommi al cespuglio che piangea per le rotture sanguinenti in vano. «O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea, che t’è giovato di me fare schermo? che colpa ho io de la tua vita rea?». Quando ’l maestro fu sovr’ esso fermo, disse: «Chi fosti, che per tante punte soffi con sangue doloroso sermo?».

che, ben che da la proda veggia il fondo, in pelago nol vede; e nondimeno èli, ma cela lui l’esser profondo. Lume non è, se non vien dal sereno che non si turba mai; anzi è tenèbra od ombra de la carne o suo veleno. Assai t’è mo aperta la latebra che t’ascondeva la giustizia viva, di che facei question cotanto crebra;

Giana. Ma che hai? T’è entrata la febbre? Vaneggi? Mortella. Ah, no, non mi toccare. Ma nascondimi quei fiori, nascondimi quelle foglie... Giana. Sei pazza. Comincio a credere anch’io che sei veramente pazza, Mortella. Mortella. Ebbene, io ti dico una cosa incredibile. Non sono ancóra pazza. Guardami.

Ma con denti di pantera, aguzzi, tu sorridi: e t’è caduto il fior di bocca, e col leggiadro e muto gesto a me ti riveli, o Primavera: e fiori e fiori dalle dita snelle sbocciano, in fasci, in grappoli, in germogli: per la mia gioia al nudo suol tu sciogli la tua dovizia di terrene stelle.

S’elli ama bene e bene spera e crede, non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi dov’ ogne cosa dipinta si vede; ma perché questo regno ha fatto civi per la verace fede, a glorïarla, di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». come il baccialier s’arma e non parla fin che ’l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla,