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Lo dir de l’una e de l’altra la vista mi fer voglioso di saper lor nomi, e dimanda ne fei con prieghi mista; per che lo spirto che di pria parlòmi ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi. Ma da che Dio in te vuol che traluca tanto sua grazia, non ti sarò scarso; però sappi ch’io fui Guido del Duca.

tra l’ultima notte e ’l primo die alto o magnifico processo, o per l’una o per l’altra, fu o fie: ché più largo fu Dio a dar stesso per far l’uom sufficiente a rilevarsi, che s’elli avesse sol da dimesso; e tutti li altri modi erano scarsi a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio non fosse umilïato ad incarnarsi.

²⁹⁹ Villabianca, Diario ined., a. 1798, pp. 71-73. Più tardi, quando S. A. Leopoldo di Borbone soscriveva per 100 copie alla nuova edizione delle Poesie del Meli, a due onze e tarì l’una, e ne pagava anticipatamente il prezzo, un Presidente Marchese faceva altrettanto, perchè nessuno potesse pensare che un dignitario come lui facesse da meno di un Principe reale.

Ambedue tacevano: l’una scorrendo con le dita un rosario di vetro, l’altro guardando il rosario scorrere. Ambedue avevano l’indifferenza che la nostra gente campestre suole avere dinanzi al mistero della morte. Emidio disse, con un lungo respiro:

Una medesma lingua pria mi morse, che mi tinse l’una e l’altra guancia, e poi la medicina mi riporse; così od’ io che solea far la lancia d’Achille e del suo padre esser cagione prima di trista e poi di buona mancia. Noi demmo il dosso al misero vallone su per la ripa che ’l cinge dintorno, attraversando sanza alcun sermone.

Una grande arcata collega le due porte aperte su l’una e l’altra scala, tutte di pietra gli stipiti gli architravi i limitari, semplici e sode, non ornate se non d’una fascia sola, con un che della nuda forma dorica. Si vede pel vano dell’arcata sfondare l’aria del vespro, ove la selva dei cipressi più e più s’infosca digradando come le canne d’uno smisurato organo di bronzo.

Se tal fu l’una rota de la biga in che la Santa Chiesa si difese e vinse in campo la sua civil briga, ben ti dovrebbe assai esser palese l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma dinanzi al mio venir fu cortese. Ma l’orbita che la parte somma di sua circunferenza, è derelitta, ch’è la muffa dov’ era la gromma.

Una medesma lingua pria mi morse, che mi tinse l’una e l’altra guancia, e poi la medicina mi riporse; così od’ io che solea far la lancia d’Achille e del suo padre esser cagione prima di trista e poi di buona mancia. Noi demmo il dosso al misero vallone su per la ripa che ’l cinge dintorno, attraversando sanza alcun sermone.

Gli antichi per sfogar le loro brame non lasciavano neppur caste le glandole mammarie. Nei suoi dialoghi Luisa Singea, fa raccontare ad Ottavia una scena di questo genere: «Con l’una e l’altra conca di Venere

Giana. Penso al tuo enigma, e a quello specchio dove tu scopristi quelle due mani. Mortella. Come io sia partita, va, staccalo dalla parete, prendilo e portalo nella tua camera. Giana. Tutto può diventare strumento di magìa. Mortella. Pazzia e magìa hanno grande somiglianza. Giana. Forse è vero. Mortella. L’una e l’altra fanno escire l’anima di stessa. Giana. L’amore anche, il martirio anche.