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E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali di qua, di l

Maremma non cred’ io che tante n’abbia, quante bisce elli avea su per la groppa infin ove comincia nostra labbia. Sovra le spalle, dietro da la coppa, con l’ali aperte li giacea un draco; e quello affuoca qualunque s’intoppa. Lo mio maestro disse: «Questi è Caco, che, sotto ’l sasso di monte Aventino, di sangue fece spesse volte laco.

in sogno mi parea veder sospesa un’aguglia nel ciel con penne d’oro, con l’ali aperte e a calare intesa; ed esser mi parea l

e drizzeremo li occhi al primo amore, che, guardando verso lui, penètri quant’ è possibil per lo suo fulgore. Veramente, ne forse tu t’arretri movendo l’ali tue, credendo oltrarti, orando grazia conven che s’impetri grazia da quella che puote aiutarti; e tu mi seguirai con l’affezione, che dal dicer mio lo cor non parti». E cominciò questa santa orazione: Paradiso · Canto XXXIII

De li altri due c’hanno il capo di sotto, quel che pende dal nero ceffo è Bruto: vedi come si storce, e non fa motto!; e l’altro è Cassio, che par membruto. Ma la notte risurge, e oramai è da partir, ché tutto avem veduto». Com’ a lui piacque, il collo li avvinghiai; ed el prese di tempo e loco poste, e quando l’ali fuoro aperte assai,

Quasi falcone ch’esce del cappello, move la testa e con l’ali si plaude, voglia mostrando e faccendosi bello, vid’ io farsi quel segno, che di laude de la divina grazia era contesto, con canti quai si sa chi l

Tu, d’abbandono e di dolor nudrito, Tu, condannato da la sorte rea, Lo spirto librerai nell’infinito Su l’ali dell’idea. Tu poeta sarai! Come invadente Luce d’incendio nel silenzio nero, Splendida sorger

Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia, rispuose: «Malizioso son io troppo, quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia». Alichin non si tenne e, di rintoppo a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali, io non ti verrò dietro di gualoppo, ma batterò sovra la pece l’ali. Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo, a veder se tu sol più di noi vali».

Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto non potero avanzar; quelli andò sotto, e quei drizzò volando suso il petto: non altrimenti l’anitra di botto, quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa, ed ei ritorna crucciato e rotto. Irato Calcabrina de la buffa, volando dietro li tenne, invaghito che quei campasse per aver la zuffa;

A me giunge, a me giunge il pianto alterno Che mi persegue e che cessar non vuole, Lugùbre, sempiterno, Vipistrello che al buio sbatte l’ali, Nube che offusca il sole! Fuggon dinanzi a me gioia e bellezza, Fugge la luce a novo ridesta. La temeraria ebbrezza Fugge d’amore e l’estasi del bacio.... Solo il dolor mi resta!...