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Ed Aristotile nel terzo dell'Etica, lá dove parla della fortezza, dice che l'esser temerario è vizio, in quanto il temerario presume, oltre alle sue forze, quello che a lui non s'appartiene.
Al quale Beatrice dice cosí: «Da poi che vuoi saper cotanto addentro», cioè sí profonda ed occulta cosa, «Dirotti brevemente mi rispose Perch'i' non temo di venir qua entro», in questo carcere cieco. «Temer si dee sol di quelle cose, C'hanno potenza di fare altrui male». Sí come Aristotile nel terzo dell'Etica vuole, il non temer le cose che posson nuocere, come sono i tuoni, gl'incendi e' diluvi dell'acque, le ruvine degli edifici e simili a queste, è atto di bestiale e di temerario uomo; e cosí temere quelle che nuocere non possono, come sarebbe che l'uomo temesse una lepre o il volato d'una quaglia o le corna d'una lumaca, è atto di vilissimo uomo, timido e rimesso.
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