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Rosilde alzò di terra il suo occhio smarrito e rispose con un'occhiata un'occhiata aguzza di lince alla sua d'orso furioso. Un pensiero, tutto un progetto le si era affacciato alla mente ad un tratto. Per sopprimere i sospetti sul fatto di Don Luigi, ella meditava di uccidere stessa; ora aveva trovato un mezzo più sicuro; uccidere la sua riputazione.

Quel giorno Rosilde gli gettò come una sfida queste dure parole: Per far tanto armeggio bisognerebbe almeno sapermi rifare questo ordigno guasto. E picchiava coll'indice sul suo seno ansimante per l'asma, eh! che ne dite, patria? Lo spero, rispose gravemente il De Emma con una sicurezza che non era punto una simulazione. Davvero? ebbene proviamo.

Il dottore fu ancora lui a rompere il silenzio e disse ad Attilio: Signor avvocato, se avesse veduto la Rosilde in quei tali momenti avrebbe promesso come me di non funestare la vita dell'uomo ch'ella ha tanto amato. Quanto a Don Luigi è superfluo dirle che egli, appena sospettò i vincoli che lo legavano ad Aminta mise a repentaglio la sua pace, per sottrarlo alle torture del De Boni.

Mi parve intravvedere nel tono della sua voce subitamente risoluta, una così profonda disperazione che mi sgomentai e per un pezzo non seppi trovar parola. Ma quando ella mi porse la mano per congedarsi le dissi con tutto il calor dell'amicizia ch'io avevo per lei: Rosilde, badate ad avervi cura... promettetemi di aver confidenza in me. Qualunque cosa vi occorra ricordatevi del vostro amico.

»Nella camera di Rosilde c'era il signor De Boni, ed entrando lo udii che diceva: » Tu non vuoi darmele, ebbene le prenderò da me. »E aggiungeva due o tre bestemmie spaventevoli. »Pareva un furioso scappato dall'ospedale: metteva tutto sossopra, rovistando entro i mobili come per cercarvi qualcosa che molto gli premesse di avere.

Sicuro era lui che aveva abusato della solitudine di Rosilde, della dappocaggine del De Boni, della credula bont

»Ma cominciò una processione di signori che venivano a farle complimenti e parlavano Dio sa come, in presenza mia, non mi guardavano neanco come una serva, peggio come un cagnolino. »La buona Rosilde ci pativa più di me e si dava una gran pena di avvertirli e di dire a tutti: questa è mia sorella e di farmi rispettare. Ma ogni volta s'era da capo.

»Egli ci fece poi ripetere le sue offerte e le sue esortazioni dal sindaco e da altri signori del luogo tantochè la mamma si decise alla fine un po' per le ragioni che coloro le dicevano, e un po' per quelle che la miseria le suggeriva, di arrendersi. »Rosilde andò quello stesso anno a Milano. Il buon marchese fu di parola, si adoperò per lei e cominciò a mandare una piccola pensione mensile.

»Io non sapevo risponderle, perchè malgrado le buone intenzioni del padrone, capivo che Rosilde non poteva dimorare a lungo in questa casa. »Il pensiero di dovermi separare nuovamente da lei mi accorava: si viveva così bene insieme: non potevo rassegnarmi a vederla riprender quel suo diabolico mestiere.

Il dottore s'era accorto all'ultimo delle inquietudini della moglie e, contentissimo di essere liberato da una posizione molesta, si guardò bene dal rattizzarla con delle imprudenze. Riconoscente di tutto cuore a Rosilde della sua discrezione, finchè ella rimase a Sulzena, non cercò una volta sola di vederla. La ritrovò una sera per caso in quelle circostanze strane descrittemi dallo speziale.