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Tognetti aveva aspettato il suo amico Monti al cominciare del Ponte Rotto; avevano insieme varcato il Tevere in quel punto che serba ancora i vestigi dell'eroismo di Orazio Coclite, e costeggiando il fiume, si avviarono verso le falde dell'Aventino: essi dovevano recarsi alla grotta misteriosa.

Mentre accadevano le cose narrate nei capitoli precedenti, Curzio, Monti, e Tognetti si accingevano all'opera, ch'era stata affidata al loro patriottismo. Una delle parti più importanti del piano d'insurrezione era certamente la mina della caserma Serristori. La caserma situata nel rione di Borgo, e a poca distanza dal palazzo del Vaticano, era occupata dagli zuavi pontifici.

L'avvocato Leoni, reduce col cuore affranto della chiesetta di San Giovanni Decollato, dov'erano state deposte le bare, contenenti i resti di Monti e Tognetti, pensò che il dolore più atroce da consolare era quello della madre. La vedova aveva almeno un conforto, sebbene amaro anche esso in tanta desolazione: la vista de' suoi figli.

Amico mio, ti ringrazio, disse Monti, ma io non posso dividermi dalla mia famiglia: non posso lasciare mia moglie e i miei figli soli, in preda alla vendetta dei preti, la più implacabile delle vendette! E tu, Tognetti? Io, rispose Tognetti, non posso abbandonare mia madre.

Scusami, Teta, disse, ho un affare di grande premura. Senti, Peppe. E con un cenno chiamò Monti in disparte. Che, non dobbiamo sentire noi? esclamò la vivace Teresa. Che usanze sono queste? Monti si alzò in fretta, e si ritrasse in un canto della stanza coll'amico. Lucia lo seguì con guardo inquieto. Non c'è tempo da perdere, disse Tognetti a bassa voce; abbiamo bisogno di te.

In quella si aperse la porta ed entrò nella stanza un giovane sui ventidue anni: aveva una corporatura svelta, il volto melanconico, gli occhi vivaci; portava le vesti semplici dell'operaio romano. Quel giovane era il figlio di Maria, era Gaetano Tognetti. Mamma! mamma! esclamò egli, entrando in fretta, ed altro avrebbe aggiunto, ma quando vide il prete si oscurò nel volto, e tacque.

Non si poteva distinguere il suo volto a causa del cappuccio che lo copriva, ma era tanta la commozione che appariva ne' suoi occhi, che Monti e Tognetti si convinsero che lo sconosciuto era un vero amico. Pareva che volesse parlare e non potesse per la piena dell'affetto. Finalmente proferì con voce tremante queste sole parole: Miei cari! La sua voce era ignota ai condannati.

Anch'essa aveva un pensiero d'amore che si volgeva dolorosamente alle Carceri Nove; ch'essa era amante e fidanzata del giovane Tognetti; ma all'aspetto di quella immensa sventura, che aveva colpita la sua cugina Lucia, dimenticava gli affanni suoi proprii per dividere le pene atroci della moglie di Monti.

Quel foglio era la sentenza, colla quale due giorni innanzi il Tribunale Supremo della Sacra Consulta aveva condannati a morte Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti.

E qui sopra sta la caserma degli zuavi. Ed ora, disse Monti, aspettiamo Tognetti. Non tarder