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Quì non son mostri; inginocchiata avanti Hai Sultana, che sparge alti sospiri. Diceva ancor, ma lo sgorgar de i pianti Tra singulti interrotto, e tra sospiri Il vigor tolse; e l'angoscia crebbe Ch'ella a più favellar forza non ebbe.

Ella così dicea: ma prende a sdegno Sultana quel parlar, come l'ascolta, E mesta , che non può stare a segno, Gli occhi ora in terra, ed or al ciel rivolta; Pera Ottoman; vada sossopra il regno, Ed io nel mio dolor stiami sepolta, Io via più di ciascun, per cui sola una Guasta i pregi de l'Asia empia fortuna.

Temo ben io, che s'egli avvien ch'io mora, Sultana incontrer

Sultana allor: se la presente sorte, E se 'l risco vicin di maggior pianti A farmi dolce reputar la morte Oggi non fossero, Ebrain, bastanti, Pur la vita troncarmi esser dee forte Questo Re che trafitto emmi davanti, Cui fermamente io so che fui diletta, E che pur con desio seco m'aspetta.

Per Ottoman scioglie ai lamenti il freno Sultana, e beve poi letal veneno. Così la vince il gran martir; ma volse A lo scampo de' suoi Bostange il core Sul risco estremo, ed i guerrieri accolse Che nel campo godean grado d'onore; Guardogli alquanto; indi la lingua sciolse, Nel profondo del cor chiuse il dolore, Ed a' mesti baron chiedea consiglio Con salda voce nel sovran periglio: II

Quei l'alta donna reverente onora; Ed ella a lui, che le s'inchina avanti; Alcasto, il nostro Re dove dimora? E perchè quì tante querele e pianti? Il Capitan per la pietate allora Colma di più dolor voce e sembianti, Ed a Sultana la miseria indegna Con modo accorto palesar s'ingegna.

Ver gran tenda il gran Signor s'invia; Seco Sultana a paro, a par movea; Ed Ebräin mille guerrier per via, Usata guardia, intorno lor scorgea; Purpurea vesta ad Ottoman coprìa Il busto fier, che di piropi ardea; E cinto su quegli ostri aureo risplende, Onde al fianco la spada aurea s'appende.

Tu ver le tende di Sultana andrai, E palese farai nostra partita A sua grandezza, e come è giusto avrai Cura, Ebrain, de la real sua vita. Così non vil, ma cauto in mezzo a guai Bostange favellò con fronte ardita, E sprezzando egualmente ogni riposo Alcun di quei baron non fu ritroso.

Ella, che sa quanto languisce, e quanto Ne le vene Ottoman chiude d'ardore, Creder non vuol, che di Sultana al pianto Non pieghi alfine intenerito il core. Dunque sen vola; e su per l'aria intanto Lascia il sembiante, e l'infernal terrore, Fassi Licasta, ch'a Sultana in culla Diè la mammella, e la nudrì fanciulla.

Ve n'era una vestita di bianco che, passando dietro alle colonne lontane, quando credeva di non esser veduta, pigliava una certa andatura molle e maestosa di sultana melanconica, e poi rideva con una sua amica: era incantevole. Il mio amico mi diceva: "Andiamo," e io rispondevo: "Andiamo," e non potevo muovermi.