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Comincia il XXVI Capitolo Godi Firenze, poi che se' si grande Che per mare e per terra batti l'ali E per lo 'nferno tuo nome si spande

Fin dove giunge lo sguardo, non sono che colline aride, le più lontane velate da una nebbia azzurrina, le altre, parte vestite dei colori cupi della vegetazione selvatica, parte biancastre delle loro sabbie mobili, che il vento spande sulla faccia del paese.

«di pentimento che lagrime spande.» e preso da intenso desiderio di aria, di luce, di vita, fuggii, da quel purgatorio, «E quindi uscimmo a riveder le stelle

71 Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia: che quel paese appresso era grande, il quale a un picciol tondo rassimiglia a noi che lo miriam da queste bande; e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia, s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande, discerner vuol; che non avendo luce, l'imagin lor poco alta si conduce.

La tua citta`, che di colui e` pianta che pria volse le spalle al suo fattore e di cui e` la 'nvidia tanto pianta, produce e spande il maladetto fiore c'ha disviate le pecore e li agni, pero` che fatto ha lupo del pastore. Per questo l'Evangelio e i dottor magni son derelitti, e solo ai Decretali si studia, si` che pare a' lor vivagni.

Godi, Fiorenza, poi che se' si` grande, che per mare e per terra batti l'ali, e per lo 'nferno tuo nome si spande! Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali. Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai di qua da picciol tempo di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna. E se gia` fosse, non saria per tempo.

Egli feroce, e più che mai possente Or quì rivolge il piè rapido e lieve; E come giunga, d'Ottoman la gente Fia sotto il braccio suo come al sol neve. Folco, sia fermo il cor, ferma la mente, Che de la vostra pena il tempo è breve, E di quel sangue, che per Dio si spande, Io tel rammento, la mercede è grande.

Ecco, superbo ascende il fior de l'agave, Arde nel cielo splendido il mio sol; Ebbra di fuoco, ebbra di luce l'anima Spande l'ali e in tempesta agita il vol Se lunghe, amare furono le tenebre, Degna è quest'ora tutto di soffrir. . . . . . . . . . . . . . . No, cuore mio, sta tranquillo, non si cambiano; il tuo primo getto della gioia infinita, eterna, non si tocca più.

Or geme il bosco ed or tace Ora si schiara, or s'oscura; Riposa immobile in pace, Spande la inquieta verdura. Stupido io miro la via Che sale, gira e si perde; Vorrei saper dove sia Più scuro e segreto il verde, Perchè se dai passi miei Col

E che strepito d'armi, e che furore Di varie voci orribile si spande? Certo che degli assalti aspro è l'orrore, E de lo scampo nostro il risco è grande; E certo, quanto il mio pensier comprende, De l'estrema speranza or si contende.