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Sempre onoranza fra i più cari amici Rese al canuto Giovio venerando, E sue parole di virtù motrici Con benevol desio stava ascoltando, E a lui diceva: «Anch'io giorni felici Ho sulla terra assaporati, quando Innamorata ancor la mia pupilla Vedea quel Nume che a' tuoi rai sfavilla».

Ché, mentre su con le 'ncerate piume tolgomi de le nubi sopra 'l velo, d'un Dedalo megliore sotto 'l nume, vedrò ch'immobil stassi e volge 'l cielo, sostien la terra, e l'universo a 'n cenno, volendo, cangiar o 'n foco o 'n gelo. Utitur metaphorice fabula Icari et Dedali. In perpetuis non differt posse et esse.

Uno dei due barboni, il più ilare, il più bianco, lo chiamavo Ani-kaine (buon augurio). Scing-tscie (perfetto) era il nome dell'altro. Chiamava il can bassetto Buddha, perché realmente quando stava in riposo assomigliava all'idolo del nume per la pingue serenit

«Se adorar si vuole un Nume, Sieno semplici omai l'are; Vane pompe ad esecrare Ne consiglia l'Evangel: Volgi l'alma a culto novo; Il vetusto s'abbandoni: Non più incensi, effigie, suoni; Ma qui l'uom, l

A l'ammonir del tenebroso nume Placasi il Turco, e, raggirando il freno, Impon il suon, c'ha di raccor costume, E fra le tende aspetta il sereno. Ma, poi ch'a l'armi sue vien manco il lume, Da la pugna AMEDEO cessa non meno, E per mezzo il dolor, ch'alto s'udìa De' Turchi oppressi a la citt

Ma quando un lirico moderno rivolge l'apostrofe a un nume greco, egli può vestirla quanto piú vuole di parole serie, può renderla patetica quanto piú sa, la sua invocazione è sempre una invocazione da burla e non da senno.

Un grido Mise il Nume a tal dir; ne l'ampio manto Fremebondo si chiuse, e, le beate Groppe al divino corridor premendo, Per li campi de l'aria alzossi e sparve. Torna intanto il mattino, e un'aurea luce Con lo sparir del Dio penetra in mezzo A la densa foresta.

Amor, che su per l'alto il volo affretti, Ed in terra ed in mar dispieghi l'ali, ch'al nome di te rendi soggetti Con la faretra eterna i cor mortali, Amor mio solo nume, odi i miei detti, E contra quel fellon reggi miei strali, Perchè sgombrando il cor d'aspri dolori Più le tue leggi e le tue forze onori.

Invisibili come un eroe di poema epico, a cui un Nume benigno ha concesso l'accappatoio di una nuvola, possiamo guardare a nostro bell'agio la bionda contessa, che è appunto sdraiata sul piccolo sof

Ma non è tempo omai da più gir presso A fatti pensier; le mie giornate A fin son giunte, o morte, io mi t'appresso, Raccogli tu le membra egre, affannate, E se nume è l