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L'amico stette immobile un tratto a guardarlo; quindi posò l'archibugio e andò a sederglisi gravemente da lato. Ah, ah! c'è del grosso in aria!.... diss'egli. Giacomo, vuoi tu dirmi che hai? ma chetati, perdiana! Non sei più un bambino da latte. Lascia pianger le donne, che piangono spesso, perchè piangono bene.

Sono come fanciulli, che vogliono e non vogliono, e non san star in un proposito, o sono mobili come il vento e chi s'impregna di vento, partorisce aria; o perché sono vogliose e desiderano sempre cose nuove; o forse è lor costume peculiare di dar sempre dispiaceri e tormenti a coloro da' quali si conoscono essere amate e riverite.

Che fortuna per l'osteria dell'Altino! ripigliò mastro Bernardo, che non aveva posto mente alle ultime parole del Picchiasodo, profferite a voce più bassa. E dite, magnifici messeri; poichè il numero è cresciuto, s'ha egli da metter due polli allo spiedo? Ah, ci vuol altro che spiedo! Or ora vedrai; -gridò il Picchiasodo con aria beffarda. Per un bicchiere di vino, intanto, non si dice di no.

Balzano questi abbajando: Luchino stesso destasi e sorge impugnando la spada: volle il caso che in quella il capitano Lucio entrasse a riferire con aria trionfale, siccome il giorno innanzi, nella rocchetta di porta Romana, erano stati condotti Francesco Pusterla e il suo figliuolo.

Silvio guardando d’intorno con aria sospettosa le disse:

Oh quanto mi parete piú belle del tempo passato! Che ti par, Eugenio figlio, di questa cittade? EUGENIO. Piú bella assai di quello mi avete raccontato, padre mio. Populosa cittá e piú d'ogni altra d'ameno sito e di nobilissima aria. E mi sento le carni non so come risentirsi, pensando che sia nel luogo dove sia nato.

Il giovane artista era stato vestito colla casacca dei prigionieri, e aveva le mani unite e serrate dalle manette, ma pure non aveva dimessa la sua aria di dignit

Egli andò all’uscio, lo aperse, e gli comparve dinanzi un grazioso paggetto, il quale con aria misteriosa gli susurrò queste parole:

Il giorno stabilito, mentre ebbro di amore faceva sferzare i cavalli che lo portavano al convegno, tutt'a un tratto il suo cocchiere svevo con gioia improvvisa agitò in aria il cappello e gridò, in francese, s'intende: Vive Napoléon! Rasente, in vettura, era passato un giovine cadetto wurtemberghese, dalla fisonomia napoleonica: uno dei figli di Gerolamo.

Una persona, che aveva aria d'uomo non dozzinale e non l'era davvero, parlava della poesia «romantica» con Sua Reverenza. E Sua Reverenza l'udiva con volto pacato e con segni d'approvazione, perché erano lodi alla poesia «romantica», la prediletta dell'anima sua. Quando tutt'ad un tratto il panegirista uscí fuori con un voto, perché alcuno in Italia pigliasse a scrivere una Poetica romantica. Che Poetiche di Dio! gridò allora il buon curato di Monte Atino, dimenandosi sul suo seggiolone come un energumeno, che Poetiche di Dio! Se ai giorni nostri vivesse Omero, vivesse Pindaro, vivesse Sofocle, dovrebbono essi cambiare arte forse? No, in nome del cielo, no. Ma la [p.29] differenza dei secoli renderebbe differenti le cose che que' poeti imprenderebbono ora a trattare. E la differenza delle cose indurrebbe di necessitá differenza nella mescolanza delle forme e nell'accoppiamento delle immagini. E Omero, Pindaro, Sofocle sarebbero poeti «romantici», volere o non volere. Ma l'arte loro sarebbe tuttavia quella stessa de' classici antichi. Che importa a me se il Cellini oggi mi cesella un vezzo per madama d'