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ALBUMAZAR. Tu sei pazzo e presentuoso; e se non ti emendi, ti farò pentire della tua pazzia e prosunzione! PANDOLFO. Taci, bestia! quei vocabuli sono arabichi e turcheschi. CRICCA. Astrologo, di che ciera ti paro io?

LALIO. Che ceci conditi son questi che mi volete dare, di mele o di zucchero? PROTODIDASCALO. Dico vocabuli ciceroniani. LALIO. Questi vocali son buoni da bere? PROTODIDASCALO. Son cose che quando sarete in etá piú provetta vi faranno onore nella scuola. LALIO. Io non vo' scola, altrimente.... Che volete da me? PROTODIDASCALO. Paulo ante vi ho visto uscir da questo ostio. LALIO. Che «ostia»?

FILASTORGO. Con queste tue pedanterie mi fai salire tanta rabbia che, se non importasse la vita di mio figliuolo, mi faresti uscir da' gangheri. Che importano a me queste tue disutili chiacchiare? PROTODIDASCALO. Che importano eh? Non si devono parvipendere i vocabuli patri e vernaculi; e Quintiliano celeberrimo scrittore dice: «Perscrutandas esse a fideli praeceptore origines nominum».

Magister, bonum sero. PROTODIDASCALO. Et tibi malum cito. LALIO. Che comandate protomastro, patriarca? PROTODIDASCALO. «Prius te salvere iubeo». LALIO. Io non v'intendo. PROTODIDASCALO. Dico che siate salvo. LALIO. E voi salvo e contento. PROTODIDASCALO. Per mostrarvi la mia largitade vi vo' fare un munuscolo di cinquanta vocabuli ciceronei abstrusi e reconditi.