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LARDONE. Il manco pensiero che hanno i letterati di questi tempi è di scrivere i fatti tuoi. PEDANTE. Il tuo male con una ricetta si guarirá. LARDONE. E quale? PEDANTE. «Recipe due capponi, l'uno arrosto e l'altro boglito, cento ova dure, due rotuli di carne di vitella, un piatto di maccheroni; pongasi in una pignatta e boglia a sufficienza; quattro fiaschi di vino: et fiat cibus et potus».

Hai certi labruzzi scarlatini come un prosciutto, una bocchina uscita in fuori com'un porchetto, gli occhi lucenti come una capra, le poppe grassette come una vitella, le groppe grosse e ritonde come un cappone impastato: in somma non hai cosa che non mi muova l'appetito; ebbe torto la natura non farti una capra. CHIARETTA. E tu che vòi esser mio marito, un becco.

MOPSO. Bella Tirrenia mia, che di bellezza avanzi i più bei fior di primavera, morbida più che tenera vitella, ch'ancor non ha gustato erba fonte; e delicata più ch'i bianchi velli di non tonduto pargoletto agnello; e più schiva d'amor e più fugace ch'innanzi a cacciator timida cerva: odi, bella Tirrenia: a queste ombrette meco t'assidi, e i miei sospiri ascolta.

LECCARDO. E che ho mangiato altro che un capon freddo, un pastone, una suppa alla franzese, un petto di vitella allesso, e bevuto cosí alto alto diece voltarelle? MARTEBELLONIO. Ecco, non ti ho detto invano il «buon pro ti faccia». LECCARDO. Quelle cose son digeste giá e fatto sangue nelle vene; ma lo stomaco mi sta vòto come un tamburro.

VIRGINIO. Che hai mangiato? STRAGUALCIA. Un par di starne, sei tordi, un cappone, un poca di vitella; e bevuto due boccali solamente. VIRGINIO. Frulla, dágli ciò che vuole; e lascia pagare a me. PEDANTE. Or che vuoi? STRAGUALCIA. Vi bacios las manos. A questo modo son fatti i padroni, maestro! Messer Pietro, voi sète troppo misero e volete ogni cosa per voi. Sapete da quanti v'è stato detto.

ALBUMAZZAR. ... Bisognano ancor per lo sacrificio e per certe altre ceremonie animali bianchi lunari, come una vitella di latte ma tutta bianca, ma se pur avesse qualche macchia piccola, non importa:...

LARDONE. Oh come biancheggia il grasso in quei quarti di vitella! oh come gialleggiano quelle groppe de capponi, e come corporeggia quel rosso su le liste del bianco in quei presciutti, come carboneggia quel nero fra quelle reti di fegatelli, come pavoneggiano quelle provature fra quei riccami di salsiccioni! PEDANTE. Oh tu come asineggi e bufaleggi fra queste tue ingordigie!

CHIARETTA. S'io facessi innamorar i sassi, starei sicura che farei innamorar te che sei peggio d'un sasso. LECCARDO. Son risoluto esser tuo innamorato. CHIARETTA. Che ti ho ciera di vitella o di porca, che ti vòi innamorar di me? LECCARDO. T'apponesti.

PEDANTE. Tu che dici? AGIATO. Io vi darò animelle di vitella, mortatelle, vin di montagna; e, sopra tutto, starete dilicati. FRULLA. Io vi darò piú robba e manco dilicatura. Se venite con me, trattarovvi da signori e 'l pagamento sará a vostro modo; ove, allo «Specchio», vi mettará a conto fino le candele. Fate voi. STRAGUALCIA. Padrone, stiam qui, ché gli è meglio.

LARDONE. S'io dico , non farai tu, ma il boia, e tu vedrai. CAPPIO. Finiamola! In Surrento una vitella ha partorito una vitelluccia, e son due madri a lattarla. LARDONE. A queste figlianze diverrei compare io volentieri.