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Il discorso fu interrotto da un gran pugno, che Battistone lasciò cadere sul tre di picche, al qual pugno segui uno schiamazzo indiavolato. Don Procolo aveva arrischiato un asso in seconda, sbagliando il conto dei tresette. Era una sera cattiva. Il Chiodini era più distratto del solito e rifiutava senz'accorgersi d'aver le mani piene di carte del gioco.

Il capitano gli voltava le spalle brontolando, e gli teneva il broncio fino all’ora della solita partita a tresette.

E capitò al Caffè di Tricesimo proprio in momento buono. Don Morganti era più rosso del solito: per farsi passare il malumore della disdetta, che quella sera lo perseguitava accanitamente al consueto tresette, aveva gi

Dopo qualche tempo la partita di terziglio fu abbandonata pel tresette. Il maestro pregato dal capitano aveva trovato un quarto giuocatore; certo Giacomo Pigna, fittaiuolo del paese, un po’ rozzo, ma galantuomo, laborioso ed allegro, e gran bevitore. Egli capitava ogni sera fedelmente, anche attraverso la neve e le bufere, per fare la solita partita.

Imparò il giuoco della bazzica e del tresette, la dama, gli scacchi e da ultimo il tarocco; divenne prefettone del collegio e segretario intimo del rettore, che aveva portati dal Belgio tutti i perfezionamenti della scienza umana; ma, sentendosi chiamato alla vita del secolo, un bel giorno si valse della protezione di Ponzio Pilato per riferirgli in confidenza certi segreti dello stabilimento, ch'egli conosceva meglio d'ogni altro convittore.

Il vecchio non sapeva mettersi in pace: un odio sordo s'alimentava di continuo in lui contro quello "spregiudicato usurpatore" ed era odio così implacabile che se solamente il professore passava per caso dinanzi alla trattoria di Tricesimo, dove il Morganti soleva bere la sua tazza di birra facendo con gli amici la partita a tresette, il suo viso diventava scarlatto e la vista gli si annebbiava da non distinguere più le carte che aveva tra mano.

Il maggiore dei fratelli Tangoloni de Lastafarda, che ci teneva molto a darsi l'aria del viveur consumato nelle orgie e nelle bische, mentre, invece, tutta la sua dissipazione si riduceva nella perdita di qualche partita al bigliardo od al tresette, lo prese sotto il braccio e lo accompagnò nel palchetto dei nobili, affettando con lui una dimestichezza da compagnone, e l'erre aristocratica.

Il mite autunno non aveva peranco ceduto il posto al rigido inverno ed un bel sole temperato da freschi zeffiretti scendeva il limpido orizzonte in mezzo ad una nube di fuoco. Bastiano devoto all'abitudine dei calzolaj di considerare il lunedì secondo giorno di festa erasi portato alla vicina osteria e trincava allegramente il suo fiasco fra una partita e l'altra di tresette.

Don Luigi, a tener dietro a S. E. Leonardo, non ne poteva più, e alla fine della giornata aveva l'aria d'uno di quei cani che per ore e ore inseguono la selvaggina, e alla sera si accovacciano sul vestibolo ansanti e con la lingua penzoloni. Onde, se gli riusciva di sgattaiolar via con la scusa di qualche indisposizione appena faceva notte, correva a rifugiarsi nella sua camera, e si cacciava sotto le coperte, maledicendo al destino che costringeva lui, un uomo di tanto merito, a sciupar la sua vita con un ragazzo balordo e maleducato. Ma ordinariamente non gli era concessa neppur questa consolazione, perchè S. E. Chiaretta, che aveva sempre bisogno di seccar qualcheduno e trovava assai comodo di seccare di preferenza il prete di casa, lo sforzava spesso a rimanere alzato per fare il quarto a tresette in un tavolino o per leggerle la Gazzetta fino a che le venisse sonno. Gi

I servi uscirono coi lumi, i cani da guardia latrarono a piena gola scuotendo furiosamente la catena, la contessa Chiaretta che giocava a tresette dimenticò di accusare la napoletana di spade, S. E. Zaccaria si fermò nel bel mezzo d'una spropositata dissertazione agricola col fattore, gli ospiti tramortirono, e Fortunata, pallidissima, si trascinò fino alla portiera a vetri che dava sul giardino; poi, mancandole le gambe, dovette appoggiarsi a uno degli stipiti per non cadere.