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E tu levala! Levala! ripetè il Maso, mettendo i polsi sotto il naso del suo aguzzino. Indi, mentre il Tanaglino, tutto raumiliato, lavorava a slegarlo, soggiunse: Che te ne pare? Son io ancora quel villano ribaldo di poco fa? Sarete un pezzo grosso, borbottò il balestriere stizzito, e a noi due spetterebbe la taglia. Eccoti la taglia, furfante! esclamò il Picchiasodo, appoggiandogli una pedata.

Si fermò allora, pensando tra come avrebbe potuto fare per dar negli occhi a quell'uomo. Intanto il Tanaglino, che non aveva le stesse ragioni per trattenersi, gli diede una spinta nelle reni. Il Maso fu pronto a cogliere quella dolorosa occasione. Tanto è vero che tutto il male non vien per nuocere. Oh insomma! gridò egli, voltandosi, tra piagnoloso e stizzito. Che è ciò?

Poco stante, il Maso, che oramai disperava di tornar salvo tra' suoi, entrava, col Tanaglino ai fianchi, nello steccato nemico. Col

Obbedì, e, come volle il Tanaglino, prese la strada dell'Argentara, a passo giusto da prima, indi man mano più frettoloso, perchè i balestrieri lo spingeano da tergo, incalzati com'erano d'improvviso dalle schiere di riscossa condotte innanzi dal marchese Galeotto.

E alzata la voce, mentre, inseguito dal Tanaglino, correva alla volta delle artiglierie, si messe a gridare con quanto fiato ci aveva in corpo: Messere Anselmo! ohè; messere Anselmo, di grazia! Il Picchiasodo volse la faccia da quel lato, non senza un tal po' di malumore, perchè appunto allora stava mettendo una zeppa di legno sotto la tromba della signora Ninetta, per alzarne un tratto la mira.

Capisco; interruppe il buon capo dei bombardieri; e tu ameresti ora cambiar di padrone. Andate, voi altri; soggiunse poscia, voltandosi ai due balestrieri che accompagnavano il Maso; questo prigioniero rimane con me. Il Maso diede una rifiatata di contentezza. Ma quei due non si muovevano ancora. Messere, entrò a dire il Tanaglino, la corda di balestra con cui è legato, mi appartiene.

Son forse un cane, da pigliarmi a pedate? Non voglio andare più oltre; voglio parlare a quell'uomo delle bombarde. Quell'uomo! sclamò il Tanaglino, mentre raddoppiava la dose, Messer Anselmo Campora, il capo dei bombardieri della repubblica, tu lo chiami quell'uomo? Sicuro! rispose il prigioniero, cansandosi. Lo chiamavo quell'uomo; ma ora che tu m'hai detto il suo nome, lo chiamerò come va.

Che te ne pare, eh? dimandò il Picchiasodo, notando l'aria di beatitudine che si diffondeva sulla faccia del Maso. Non ti poteva per avventura andar peggio? Ah, non me ne fate ricordare! esclamò il Maso, pensando al Tanaglino. Questa è grazia di Dio, cucinata dal generalissimo dei cuochi.

E si divincolava in quelle strette, si scontorceva e smaniava, ma invano; due maledetti diavoli lo avevano abbrancato, e non c'era verso, bisognava andare con essi. Che! non si scappa! gli gridava un di costoro, che lo aveva agguantato pel collo e gli faceva sentire il ginocchio nelle reni. Tu se' capitato nelle granfie del Tanaglino e puoi metter l'animo in pace.

E adesso, vira di bordo! gli gridò il Tanaglino, accompagnando l'ordine con un colpo d'aiuto, che al Maso fece tornare in memoria le carezze di mastro Bernardo.