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D. Gran danno a lei, ch'un gentile spirto non le sia in tempo alcun stato soggetto: a te, che del suo chiaro e vivo lume ancor non t'hai sentita l'alma accesa. T. Nova querela, udir ch'altri si doglia ch'altri non arda del medesmo foco. D. Da diverse cagion diversi effetti nascon, mio TIRSE, e altramente s'ama cosa pura mortale, altri disiri son quei che movon da cose divine.

Facil ti fu ingannare una donzella di cui tu signore eri, idolo e nume, a cui potevi far con tue parole creder che fosse oscuro e freddo il sole. 40 Crudel, di che peccato a doler t'hai, se d'uccider chi t'ama non ti penti? Se 'l mancar di tua leggier fai, di ch'altro peso il cor gravar ti senti? Come tratti il nimico, se tu dai a me, che t'amo , questi tormenti?

intorno ad esso era il grande Assuero, Ester sua sposa e 'l giusto Mardoceo, che fu al dire e al far cosi` intero. E come questa imagine rompeo se' per se' stessa, a guisa d'una bulla cui manca l'acqua sotto qual si feo, surse in mia visione una fanciulla piangendo forte, e dicea: <<O regina, perche' per ira hai voluto esser nulla? Ancisa t'hai per non perder Lavina; or m'hai perduta!

DULONE. T'hai pur fatto scampar Cintio di mano: oh gran vergogna! CAPITANO. Giuro a di Marte e di Bellona, che ancor ch'ei s'incavernasse sotterra e si rinselvasse nella Transilvania, non sará per iscampar dalle mie mani e proverá che cosa sia far sdegno ad un par mio! Non sa egli ch'io son capitano dal cui ritratto si de' tôr il modello de tutti i capitani del mondo?

intorno ad esso era il grande Assuero, Ester sua sposa e 'l giusto Mardoceo, che fu al dire e al far cosi` intero. E come questa imagine rompeo se' per se' stessa, a guisa d'una bulla cui manca l'acqua sotto qual si feo, surse in mia visione una fanciulla piangendo forte, e dicea: <<O regina, perche' per ira hai voluto esser nulla? Ancisa t'hai per non perder Lavina; or m'hai perduta!

64 Che ha costei che t'hai fatto regina, che non abbian mill'altre meretrici? costei che di tant'altri è concubina, ch'al fin sai ben s'ella suol far felici. Ma perché tu conosca chi sia Alcina, levatone le fraudi e gli artifici, tien questo annello in dito, e torna ad ella, ch'aveder ti potrai come sia bella.

Tu lo guardi cosí forte, o Pilastrin? PILASTRINO. Lo voglio affigurare. Li vo' toccar la man, ché siam parenti. Filocrate crestoso, hai pur rubbato la spoglia d'un saccone? e t'hai con essa vestito? A questo estremo di prudenza t'han pur condotto i tuoi ruvidi amori? Guarda che cera! Non pare il legato de la peste e la fame?

DOTTORE. Son rovinato ben io. MANGONE. Ho perduto cinquecento ducati. DOTTORE. Ho perduto l'innamorata. MANGONE. Son punito delle beffe che m'ho fatto di lui. DOTTORE. Come t'hai lasciato ingannare? MANGONE. Non son stato ingannato altrimente da lui, ma ben da un raguseo il qual m'ha portato un schiavo a vendere, che, or che vi penso bene, avea tutte le fattezze di Pirino.

Una sera, verso le otto e mezzo, mentre si versava il caffè, fumando una sigaretta, il barone lo chiama e gli dice: Menico: vai un po' a vedere che cosa fanno stasera al Costanzi. Menico sparisce e non rincasa che.... verso la mezzanotte. Dove diavolo sei stato? gli domanda il barone. Dove mi ha mandato lei: al Costanzi. Ah! e t'hai goduto, dunque, tutto quanto lo spettacolo?

Questo è atto da uomo da bene? questa è cosa convenevole a uno amico? questo è il parentado che volevi far con esso me? chi t'hai pensato di gabbare? credi ch'io sia per comportarla? Mi vien voglia... VIRGINIO. Di che cosa ti lamenti di me, Gherardo? che t'ho io fatto? Io non cercai mai di far parentado teco. Tu me n'hai rotto il capo uno anno. Ora, se non ti piace, non vada avanti.