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Ricordava il bailo Domenico Trevisan sul finire dell'anno 1554 essere il sufì l'unico impedimento al gran signore di impadronirsi di tutta l'Asia.

E però si commetteva al persiano di riferire al suo re: che la repubblica avrebbe all'occasione e potendo fatta ogni opera affinchè il sufì conoscesse ch'ella non aveva cosa alcuna più cara dell'amicizia dei Persiani, maggior desiderio di quello, di unire alle loro le proprie armi, per frenare od abbattere la prepotenza ottomana .

Salita la Persia ad un grado d'importanza per le vittorie di Uzunhasan, e per quelle di Ismail, che fondava la dinastia dei sufì, nella fine del secolo XV e principio del secolo XVI, il commercio dei Veneziani con quella regione si concentrò nella Siria, dacchè la conquista di Costantinopoli e la caduta dei greci imperi di Nicea e di Trebisonda avevano interdetto alla repubblica il commercio del mar Nero.

Scriveva in fatti il console a Damasco Bartolomeo Contarini nel novembre dell'anno 1505 : essere a lui venuto un chasandar del Caramano con una lettera del sufì di Persia, scritta in lingua agemina , al soldan dei Veneziani, colla quale narrando le conseguite vittorie gli partecipava il suo grande amore e la sua speranza di presto incontrarsi con lui.

Riferiva in senato a' 3 di giugno Daniello Ludovisi segretario, ritornato da Costantinopoli , che quantunque le forze del re di Persia, limitate a cento e ventimila cavalli, non si potevano ritenere in caso di contrastare felicemente col Turco, la gran difesa di quel regno consisteva nel ritirarsi, spogliando il paese di ogni sorta di vettovaglie; ed il bailo Bernardo Navagero nel 1553 assicurava che il sufì era poco meno che adorato dai suoi sudditi e temuto assai dal Turco, il quale non potr

I dispacci dei baili a Costantinopoli riportati dal Sanudo, e quattro relazioni che in quei preziosi diarii sono pure conservate inedite, fanno di ciò piena testimonianza. La prima è una deposizione del nunzio Dell'Asta fatta alla signoria nel dicembre 1501, intorno al nuovo profeta Ismaìl ; la seconda una relazione 7 settembre 1502 del luogotenente di Cipro Nicolò Priuli, sui progressi del sufì e della sua setta ; la terza una deposizione fatta nell'ottobre 1503 intorno ai successi persiani, da un Moriati di Erzerum spedito appositivamente in Tauris dai rettori di Cipro ; la quarta finalmente è una lettera di Giovanni Morosini da Damasco del 5 marzo 1507 , la quale narrando con ogni possibile esattezza le lotte del sufì contro Alidul e la Turchia, rappresentava al senato «quello essere il momento opportuno di cospirare d'accordo fra i principi cristiani e la Persia, nella santissima impresa di scacciare il Turco d'Europa». La lettera del Morosini termina col seguente ritratto dello sh

Il senato ricevette il primo annunzio di questa intenzione del sufì dal console a Damasco Contarini, con dispaccio 4 marzo 1508 ; quindi nel settembre dello stesso anno il provveditore di Napoli di Romania scrisse ai capi del Consiglio dei Dieci, che di notte secretamente erasi a lui presentato un messo del sufì della Persia «per pregarlo di informare il veneto senato che il suo re era amico dei cristiani, veniva a rovina del Turco, voleva bene a san Marco et alla signorìa, ed aveva fatto penetrare il suo esercito nell'Anatolia ». Finalmente colla nave di ser Francesco Malipiero arrivarono a Venezia due oratori, uno persiano ed uno caramano, con lettera di Ismaìl tradotta dal console Pietro Zeno, la quale, accreditando i suoi ambasciatori, esprimeva la buona amicizia che il re persiano portava alla repubblica, ed il suo desiderio di stringerla maggiormente e più efficacemente . Accolti essi cortesemente dal senato, furono a spese pubbliche alloggiati nel palazzo Barbaro a s.

Il collegio ricevette onorevolmente l'ambasciatore persiano; ma gli fece rispondere dai savi «che i Veneziani si ricordavano molto bene la buona amicizia e la lega che avevano stretta col re di Persia, che essi erano molto contenti che il sufì fosse nemico dei Turchi, avesse pensato di comunicare alla repubblica l'interesse della guerra, e promettesse quelle cose, le quali se Uzunhasan avesse mantenute non vi sarebbe forse più stata occasione di muover guerra agli Ottomani; ma che tali erano i cambiamenti delle cose del mondo, che siccome in quel tempo il persiano non pensò o non potè ritentare la sorte delle armi, così ora la repubblica trovandosi in gravissima condizione, non poteva far ciò che pure ardentemente desiderava, avvegnachè era occupata in una importantissima guerra, mossale dai più potenti sovrani d'Europa che avevano congiurato a Cambray, non provocati da ingiuria alcuna, ma solo eccitati da invidia della felicit