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Sul deserto e largo marciapiedi, su' tavoli, su Stazza si diffuse un'ombra uguale, per buon tratto. Mancava qualche diecina di minuti alla chiusura della biblioteca. E svogliatamente, aspettando che trascorressero, ricominciavo a ordinare le mie schede.
Una volta, non so come, non ricordo più perchè, gli chiesi, sorridendo: E lei crede che si possa aver passione per la biblioteca, noialtri? Stazza, serio, socchiuse gli occhi, con quel suo solito vezzo di quando voleva dir cose gravi. Si possa? Si deve, caro collega. Guardi, io non ho moglie, non genitori, non fratelli. E per me la biblioteca è la moglie, è la madre, qualcosa come una famiglia.
Vuol vedere Stazza? mi fece un di que' giorni l'usciere addetto alla spolveratura della mia camera. Con uno strofinaccio tra le mani s'era avvicinato al balcone chiuso e guardava nella via, attraverso a' vetri. Venga, venga! Eccolo lì... Mi levai e corsi al balcone. Lo vede? Dov'è? Non lo vede? Lì, seduto fuori al caffè di rimpetto. Lo vede? A quel tavolo a sinistra della porta.
Un fatto deplorevole disse il direttore, rompendo il silenzio L'ottimo nostro Stazza è stato collocato a riposo. Ci lascia. Come! esclamai Così! Di punto in bianco? Stazza chinò la testa. Il direttore con la punta del tagliacarte additò un foglio sulla sua tavola. M'arriva ora la comunicazione ministeriale. Le solite sorprese. Ma, Dio mio, non avrei mai immaginato!...
Un uomo di quasi sessant'anni! Stazza l'aspetta mi disse l'usciere di guardia alla porta, come mi vide Ha domandato di lei più volte. Stazza? E che vuole? Dov'è? Nella stanza del direttore.
Si levò, s'incamminò fino alla porta, si arrestò sulla soglia. Di fuori s'udivano le voci degl'impiegati, la voce di Stazza che si licenziava, confuse. Il direttore rientrò. Andò al balcone, guardò nella via, senza badarvi. Eravamo rimasti soli. Egli tornò addietro, s'appressò alla scrivania, vi cercò qualche carta, la lesse e la buttò lì, sulla tavola, con un moto sdegnoso.
Stazza, impiedi davanti alla costui scrivania, si voltò. Mi venne incontro e mi tese le mani. Mille scuse! Ma io non potevo andarmene senza averla salutato. Addio, caro signore... Io me ne vado. Interrogavo con gli occhi il direttore e gli altri miei compagni, che circondavano Stazza, silenziosi.
Le mani di Stazza mi si protendevano, tremanti. Lasciai cadere in quelle le mie, e le strinsi, due, tre volte. Guardai in faccia il colosso: era turbato, ma si sforzava di parer tranquillo. Soltanto s'era arrossato un poco più agli zigomi. Si passò una mano sulla fronte, si guardò intorno, tornò a voltarsi verso la tavola del direttore, smarritamente.
Apriva le braccia, smarrito. Stazza! mi fece. E battè palma a palma, convulso: Lì davanti al caffè, poco prima. Un colpo. Si ricorda? Quando pareva addormentato. Apparve il direttore, pallidissimo. Accorrevano altri compagni. Tre o quattro lettori s'indugiavano sul ballatoio, senza comprendere. Il direttore mi chiese: Scende? Non mi sentivo la forza.
E ripassò il panno sui vetri perchè vedessi meglio. Arriva al caffè sulle nove ore, si mette a sedere lì fuori, e vi resta fino a mezzodì. Poi torna dopo pranzo e si rimette allo stesso tavolino e non se ne leva che alle quindici. E tu come fai a saper tutto questo? Me l'ha detto il caffettiere. Il signor Stazza gli d
Parola Del Giorno