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Due ore dopo vi entriamo con venti autocarri rigurgitanti di arditi fez neri. Impetuoso scamiciamento, fucili branditi da braccia pazze, bocche squarciate dal canto, lazzi feroci di gioia barbarica nel polverone incandescente, fiocchi neri al vento, bandiere nere che spazzano gli alberi sotto il sole che pomposamente si spacca in cannonate arroventando l'aria. Beviamo nella corsa un simun africano saporito di allegria infantile. La polvere calda sulle labbra è lo zucchero della vittoria. Rimbalzano in aria i cuori nostri gareggiando in splendore, furore e rotondit

Laggiù una marea bianca, rosea, rossa di donne vocianti che si accalcano. A destra, a sinistra ne giungono altre. Sentiamo che a 20, 30 chilometri in giro i casolari si sono vuotati. Le grida diventano fragorose nello spiralico polverone aizzato dalle gonne che spazzano la strada e dalle braccia che agitano fogliami.

È un labirinto di strade strette, fangose e cupe, fiancheggiate da case vecchissime, che pare debbano cadere in rovina a dare un calcio nel muro. Dalle corde tese fra finestra e finestra, dai davanzali, dai chiodi piantati nelle porte, spenzolano e svolazzano sui muri umidi camicie sbrandellate, gonnelle rappezzate, vestiti unti, lenzuoli macchiati, calzoni cenciosi. Davanti alle porte e sugli scalini rotti, in mezzo alle cancellate cadenti, sono esposte le vecchie mercanzie. Rottami di mobili, frammenti d'armi, oggetti di divozione, brandelli d'uniformi, avanzi di strumenti, frantumi di giocattoli, ferramenti, cocci, frangie, cenci, tutte le cose che non han più nome in alcuna lingua umana, tutto quello che hanno guasto e disperso la ruggine, il tarlo, il foco, la rovina, il disordine, la dissipazione, le malattie, la miseria, la morte; tutto quello che i servitori spazzano, che i rigattieri ributtano, che i mendicanti calpestano, che gli animali trascurano; tutto ciò che ingombra, che insudicia, che puzza, che stomaca, che contamina; tutto si ritrova l