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L'immagine della zia, pugnalata forse per mano istessa del marito, venne a spaventarla; e si pentì d'aver osato recarsi in quel luogo. Ma il dovere trionfò della paura, e continuò a camminare. Tutto era calmo. Finalmente le colpì gli sguardi una striscia di sangue sulla scala; le pareti e tutti i gradini n'erano aspersi. Si fermò sforzandosi di sostenersi, e la sua mano tremante lasciò quasi cadere il lume. Non sentiva nulla; quella torre non pareva abitata da anima viva. Si rimproverò mille volte di essere uscita; temeva sempre di scoprire qualche nuovo oggetto d'orrore; eppure, prossima al termine delle sue ricerche, non sapeva risolversi a perderne il frutto. Riprese coraggio, e giunta alla torre, vide un'altra porta e l'aprì. I fiochi raggi della lampada non le lasciarono vedere che mura umide e nude. Entrando in quella stanza, e nella spaventosa aspettativa di ritrovarvi il cadavere della zia, vide qualcosa in un canto, e colpita da un'orribile convinzione, restò alcun tempo immobile. Animata quindi da una specie di disperazione, si accostò all'oggetto del suo terrore, e riconobbe un vecchio arnese militare, sotto al quale erano ammucchiate armi. Mentre si dirigeva alla scala per uscire, vide un'altra porta chiusa di fuori con un catenaccio, e dinanzi alla quale si vedevano altre orme di sangue: chiamò ad alta voce la zia, ma nessuno rispose. «Essa è mortasclamò allora; «l'hanno uccisa; il suo sangue rosseggia questi gradiniPerdè tutta la forza, depose il lume, e sedette sulla scala. Dopo nuovi inutili sforzi per aprire, scese per tornare alla sua camera. Appena fu nel corridoio, vide Montoni, e spaventata più che mai, si gettò in un angolo per non incontrarlo. Gli sentì chiudere una porta, l'istessa ch'ella avea gi

Non voleva sorprenderla, spaventarla; temeva, sopra tutto, che il primo incontro con esso le riuscisse sgradito. Il loro incontro, invece, benchè avvenuto in triste congiuntura, era stato tutto soavit

Per trascrivere quelle parole ciascuna delle quali doveva offenderla come un insulto e spaventarla come una bestemmia, per riconoscere che Zakunine aveva ragione, bisognava che ella si condannasse senza più scusa, che si giudicasse perduta senza più speranza.

Marco continuava: Questa disgraziata, che io doveva sposare, fu rapita, or sono cinque anni, dalla casa ove l'aveva messa suo padre, rapita per ordine di costei, che la diede in mano ad uno sconosciuto, e le indebolì il cervello con narcotici possenti.... Mi raccontò tutto ella stessa, quando la vidi in Rimini poco tempo fa... Ed io, che conoscevo questa donna come un'avvelenatrice, l'avevo consigliata a diffidarne, senza tuttavia spaventarla troppo, poichè speravo che ella fosse soltanto l'amante di Federico di Chiarofonte, che non potei avvertire perchè ignoravo da lungo tempo ove fosse!... Quando ritornai a Rimini, il giorno dopo la partenza di Gabriella, vi trovai un suo biglietto, nel quale mi annunciava che si recava in Sicilia col fratello; ma ignoro per qual motivo non accennasse a costei; ciò mi confermò nella mia supposizione, e pensai con gioia che Chiarofonte non l'aveva sposata.

Per un uscio aperto si vedeva apparecchiata la mensa nella sala contigua, e le vivande imbandite; per ciò il Morone avea compreso che, per l'eccessiva agitazione, la duchessa non aveva potuto toccar cibo, e assumendo la leggerezza dello scherzo, la confortò a ristorarsi. Ella non rispose parola, soltanto volgendosi al Palavicino gli disse qualche gentilezza, a cui esso si sforzò di corrispondere. Di quando in quando però, anche sulla faccia della duchessa Elena, si vedevano passare dei lugubri pensieri. Le nozze imminenti le richiamavano le prime, poi le seconde che s'erano tanto terribilmente interrotte; gl'insistenti rimorsi, come da lontano, facevano sentire la loro voce; il timore del Lautrec tornava a spaventarla. Il Morone s'accorgeva di questi nuvoli tanto naturali del resto in un giorno di nozze, ed aveva sempre timore del Palavicino; e per ciò: Senti, Manfredo, gli disse; tu faresti ottimamente a recarti adesso a casa tua. Ci voglion piume di perle nel berretto, ci vuol farsetto di raso bianco e candide maglie. Dopo, potrai andare difilato a s. Giovanni Laterano. Tutte queste persone, di cui ora senti il mormorio nella gran sala, a momenti, facendo corteggio alla duchessa, si trasferiranno anch'esse col

Zitta, non nominare tua madre; tu non ne sei più degna.... Il nome di quell'assassino.... Mamma mia! Ah, vuoi morire dunque! E balzato all'angolo della stanza, afferrò il fucile, l'armò e lo spianò contro la figlia. Questa cacciò uno strido, si curvò tutta da un lato, e si fece riparo con le mani, barbugliando suoni inarticolati. Ma il su Cicco non voleva che spaventarla.

BALIA. E che non pensi spaventarla con tanta rigidezza: ché quanto piú l'affliggi piú gli porgi occasione di mostrarti il suo amore e la sua fede verso di te; anzi quanto piú sente mancarsi nelle pene, con tanta piú ostinata costanza si fortifica contro quelle. CINTIA. Redille che il suo male è senza rimedio, perché trovandomi innanzi a lei mi perderei affatto; e che veramente non posso.

E guardava nel suo grembo la libellula; trattenendo il fiato, colle braccia aperte e gettate indietro per non spaventarla, tutta invasa, tutta tremante di una dolcissima confusione, immota, ma con un battito interno che le gonfiava il seno. Allora una parola ch'ella non aveva mai pronunciata da sola, una parola dei libri santi, una parola del Vangelo le salì improvvisamente alle labbra.

Diè un grido, cadde tra le braccia di Aldo che furon pronte a riceverla... E vi aperse gli occhi. Perchè? domandò, stupita. Ti sei lasciata sorprendere dal sonno balbettò Aldo per non spaventarla. Volevo metterti a giacere sul canapè. Èlvia non si rammentava di niente. Che cosa avea visto? Aldo non glielo domandò.