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Cinquecento ne aveva Bartolomeo da Modena; dugento per ciascheduno Giovanni da Cuma, Soncino Corso e Carlo del Maino; trecento Cipriano Corso, duecento Antonello da Montefalco ed altrettanti il Vecchio Calabrese; cento il Giovine Calabrese, cento Battista di Rezzo, come Carlino Barbo, Bertone Maraviglia e Bertoncino il Poccio, da ultimo, ne aveva cinquecento egli solo.

Carmagnola è battuto a Soncino, lascia battere senza muoversi l'armatetta veneziana sul Po presso a Cremona, e riposa il resto di quell'anno.

Buoso, ricevuto il danaro, si chiuse in Cremona, facendo spargere ad arte la novella che i Francesi valicato il fiume Serio ritornavano su quel di Milano per tentare il passo di Parma. L'esercito di Carlo traghettò senza contrasto l'Oglio, e seguendone il corso pervenne sul Mantovano, dove, lietamente accolto da Ludovico Conte di San Bonifazio, si riposò alquanto delle sofferte fatiche. Ripostosi in cammino, valicava il Po sopra un ponte apprestatogli dal Marchese Obizzo d'Este, e si metteva sano e salvo per le terre di Romagna. Ora comincia per Carlo di Angiò la serie dei prosperevoli eventi, che lo condusse a sovvertire in pochi mesi la nobilissima Monarchia di Manfredi. Narrasi che il Marchese Oberto Pelavicino, il quale, avuto avviso della via dei Francesi, si era mosso subitamente dalle sue posizioni di Pavia, giungesse a Soncino poche ore dopo il passo di quelli, dove considerando come il savio maestro di guerra Guido da Monforte avesse afforzato le rive opposte del fiume stimò bene non seguitarlo, e pieno di mal talento si aggiunse a Buoso, in Cremona. Le parole che ebbero insieme questi due condottieri furono piene di amarezza. Se merita credenza la fama lontana, dicesi che gli profetasse il Pelavicino: «Buoso, che tu con fraudolenta favella t'ingegni ricoprire il misfatto non istupisco; hai commesso il più, puoi commettere il meno; ma se la tua parte è quella d'ingannarmi, la mia è di non crederti. Ben io potrei svelare alle genti la tua slealt

In via Soncino Morati, dinanzi l'entrata del Corriere della Sera, incontrammo Colautti. Il Chiesi, incrociando i polsi, gli fece segno che eravamo in arresto. Ci siamo! Colautti rispose, con un gesto, che non poteva essere.

Quanti nodi d'amore barbaramente troncati! Che più? Fanatici frati, sacerdoti del Dio che perdona, aizzavano la moltitudine, quasi non credessero poter essere zelanti senz'essere feroci. Battista Novaglia a Villa tre di sua mano ne scannò; frate Ignazio da Gandino venne a posta da Edolo; l'arciprete Paravicini inanimava i suoi Sondriesi a tuffarsi nella strage dei fratelli; il Piatti, curato di Teglio, attaccò il dottor Federici di Valcamonica, e fatto il segno della croce quale portava nella mano sinistra e una spada nella destra, ammazzò detto dottor Calvino con altri seguaci; il domenicano Alberto Pandolfi da Soncino, parroco delle Fusine, con uno spadone a due mani guidava il suo gregge a trucidare i fratelli di quel Cristo, che aveva detto: Non ucciderai. Il Sacro Macello e allora e poi fu lodato come santo e generoso da storici, da principi e da papi . Ma al secolo mio, al secolo che pure macchiò le mani di sangue e di che sangue, e di quanto, io non ardirò domandare se possa lodarsi quella impresa: domanderò solo se possa scusarsi. Grave è l'oppressione dei reggitori, cara la religione in cui si nacque, siano vere le vessazioni tutte, finanche la congiura: ma era d'uopo scannare i nemici? Avvisati del pericolo, non bastava provvedere alla difesa? E volendo pur togliersi di suggezione, non si poteva intimare ai Riformati che abbandonassero quella terra? Intimarlo con quella potente concordia, a cui nulla possono negare gl'imperanti? Che dir

Il Corriere della Sera, il quale nei giorni di Bava Beccaris è stato fratricida, ha potuto, senza molestia di sorta, darlo e ridarlo, tale e quale, ai suoi lettori, in tre edizioni consecutive. Il proposito del giornale di via Soncino Merati non può essere sfuggito ad alcuno.