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Dopo quattr'ore di cammino, arrivammo sulla riva del Sebù, dove venti cavalieri dei Beni-Hassen, comandati da un bel ragazzo di dodici anni, figlio del Governatore Sid-Abd-All

La mattina seguente, al levar del sole, il governatore Ben-el-Abbassi si presentò all'ambasciatore per accompagnarlo fino ai confini della sua provincia. Appena discesi dall'altopiano dell'accampamento, ci si spiegò dinanzi agli occhi l'orizzonte immenso della pianura del Sebù.

L'accampamento era sulla sponda del Sebù, il quale descrive un grand'arco dal punto dove l'avevano passato fino a quello dove eravamo giunti. Una fitta catena di sentinelle a piedi, armate di fucile, si stendeva tutt'intorno alle tende. Il paese era dunque pericoloso davvero. Se ne avessi ancora potuto dubitare, me ne avrebbero arcipersuaso le notizie che raccolsi poi.

Pover'uomo! Tutte le avventure del viaggio, tutte le grandi cose vedute, non lo avevano liberato da un pensiero doloroso che gli toglieva la pace fin dalla prima settimana del suo soggiorno in Tangeri. E questo dolore era una gelatina mal riuscita, fatta da lui un giorno che aveva pranzato in casa il Ministro di Francia; gelatina che aveva dato il primo crollo alla sua riputazione nel concetto dell'Ambasciatore, e che pure era riuscita male non per colpa sua, ma perchè il Marsala era cattivo. Fez, la corte, Mechinez, il Sebù, l'Oceano, egli li aveva visti, egli vedeva tutto a traverso quel disco di brodo condensato. O piuttosto non aveva visto e non vedeva niente perchè il suo corpo era bensì nel Marocco, ma l'anima viveva in piazza Castello. Gli domandai le sue impressioni di viaggio: erano poca cosa. Egli non sapeva capire chi potesse essere quella bestia che aveva stampato quel paese. Mi raccontò delle sue fatiche, delle sue liti cogli sguatteri arabi, delle difficolt

E non eravamo ancora a cento miglia dalla costa del Mediterraneo! E ci rimaneva da attraversare la grande pianura del Sebù! Nonostante il caldo, l'accampamento di Karia-el-Abbassi fu rallegrato, verso sera, da un insolito concorso di gente.

I Beni-Hassen sono il popolo più turbolento, più audace, più manesco, più ladro di tutta la vallata del Sebù. L'ultima loro prova fu una rivolta sanguinosa scoppiata nell'estate del 1873, quando salì al trono il Sultano regnante, la quale cominciò col saccheggio della casa del Governatore, a cui rubarono perfino le donne. Il latrocinio è il loro mestiere principale. Si raccolgono in bande, a cavallo, armati, e fanno delle scorrerie di l

Dopo un'ora di cammino arrivammo al Sebù. Mi parve di vedere il Tevere nella Campagna romana. In quel punto era largo un centinaio di metri, color di mota, grosso, rapido, incassato fra due rive altissime, quasi verticali, aride, ai piedi delle quali si stendevano due zone di terreno fangoso. Due barconi antidiluviani, spinti a remi da una decina d'arabi, s'avvicinavano alla nostra riva.

Era il mezzodì del quinto giorno della nostra partenza da Fez, quando, dopo una cavalcata di cinque ore a traverso una successione di valli deserte, ripassavamo per la gola Beb-el-Tinca e vedevamo un'altra volta dinanzi a noi la vastissima pianura di Sebù inondata d'una luce bianca, ardente, implacabile, di cui il solo ricordo mi fa salire le vampe al viso. Tutti, fuorchè l'Ambasciatore e il capitano, che partecipano della virtù favolosa della salamandra, di star nel fuoco senz'ardere, ci coprimmo il capo come fratelli della Misericordia, ci ravvoltammo con gran cura nelle cappe e nelle coperte, e senza profferire una parola, col mento sul petto, cogli occhi socchiusi, scendemmo nella terribile pianura, confidando nella clemenza di Dio. A un certo punto si sentì la voce del Comandante il quale ci annunziava che era gi